giovedì 26 luglio 2012

IL DIALETTO... SARDO

IL DIALETTO... SARDO.

Ho appreso che la Corte di Cassazione, in base ad un caso giudiziario che, se non erro, richiedeva la traduzione di intercettazioni in lingua sarda, ha decretato che la lingua sarda non è una lingua, ma un dialetto.
Quali considerazioni trarre dal tale sentenza?
Potrei pensare che la più sopra espressa conclusione, fatta dalla corte di Cassazione, si possa paragonare ai... cavoli a merenda.
Potrei anche pensare che sia una conclusione di comodo.
Potrei anche pensare che si tratti di cattiva intenzione o di ignoranza, visto che, nel 2011, sostenere ancora che il sardo sia un dialetto, è, per l'appunto, sinonimo: o di ignoranza o di malafede.
E potrei anche pensare che, se il sardo, per la Corte di Cassazione, è un dialetto, lo è a la pari del dialetto italiano, del dialetto tedesco, spagnolo, del dialetto inglese, francese, cinese e così via.
Ma, in fin dei conti, quello che secondo me è e dev'essere, una volta per tutte, veramente importante(di fronte a episodi del genere)è ciò che... noi sardi pensiamo circa la lingua sarda e ciò che... vogliamo decidere circ la lingua sarda.
Perché, sempre in fin dei conti: chi se ne importa se una Corte di Cassazione o chicchessia afferma ciò che gli pare sulla nostra lingua o su altre cose riguardanti la nostra storia, identità eccetera; la vera posta in gioco, ripeto, è ciò che noi pensiamo su noi stessi e, nel caso in questione, sulla nostra lingua.
Quello che ci deve preoccupare è se consideriamo che la nostra lingua suia la naturale espressione della nostra identità, della nostra ricca storia fatta di episodi belli e brutti, come le storie di tutti gli altri popoli del resto.
Quello che ci deve preoccupare è se abbiamo intenzione di non vergognarci di parlare la nostra lingua sarda, in tuti gli ambiti della vita, sorretti dalla certezza che anche la nostra lingua, è abilitata a tutto ciò.
Quello che deve preoccuparci è superare certi luoghi comuni che relegano la nostra lingua nell'ambito del ridicolo, sorretti dalla certezza che, se ci mettiamo a cavillare, tutte le lingue potrebbero esserlo(certi altisonanti cognomi inglesi, giusto per fare un esempio, tradotti al sardo, o all'italiano che si voglia, suonerebbero oltremodo ridicoli!)
Quello che deve preoccuparci è avere coscienza che la perdita della nostra lingua sarebbe(e non bisogna stancarsi di ripeterlo)una vera e propria sconfitta culturale.
Quando saremo coscienti della nostra lingua, della nostra cultura(inclusi i difetti che ogni cultura al mondo possiede), allora poco niente c'importerà di ciò che pensano gli altri.
Quello che deve preoccuparci è insegnare, sul serio, la nostra lingua ai giovani, sorretti dalla coscienza di far loro un grande favore culturale, certi che, apprezzando la lingua sarda, sapranno apprezzare anche le altre lingua; o, per dirla come la Corte di Cassazione, apprezzando il dialetto sardo, sapranno apprezzare tutti gli altri dialetti del mondo.
Il problema, quindi, non sono gli altri o ciò che pensano gli altri, ma: ciò che pensiamo noi.
Quando noi sardi ci saremo chiariti circa quanto sopra e avremo preso le nostre decisioni... poco importa ciò che dicano le corti di cassazione.
                                                                                  (Ignazio Cuncu Piano)

LETTERA APERTA AI VESCOVI DELLA CHIESA SARDA


(Si tratta di una riflessione offerta ai vescovi sardi nel marzo 2011; la riflessione di un cittadino comune. Non contiene niente di segreto, anzi. Le tematiche non sono nuove. La decisione di pubblicarla, quindi, risponde al solo desiderio di condividere con chi si sente sensibilizzato – e non – i temi trattati e per apportare, circa gli stessi, un piccolo contributo).

LETTERA APERTA AI VESCOVI DELLA CHIESA SARDA.

Offro alla vostra attenzione di Pastori, una personale riflessione su due realtà che toccano il tessuto profondo del nostro popolo:

  • la lingua(sarda)ed il suo impiego nella liturgia;
  • le basi militari (e il poligono di Salto di Quirra).

(Debbo ammettere che soprattutto quest'ultima interpella da tempo la mia coscienza di discepolo di Gesù e cittadino).

LITURGIA E LINGUA SARDA.

Fra i tanti aspetti meravigliosi della nostra fede, c'è senza dubbio la cattolicità: una stessa fede, integra nelle verità fondanti, vissuta e annunciata nella cultura specifica di ogni popolo. Per volontà dello Spirito, il Concilio Vaticano II ha felicemente rivalutato l'aspetto dell'inculturazione, che ha marcato la comunità ecclesiale fin dagli esordi. Penso alla missione di Paolo, attraverso la quale il Messaggio si diffonde a tutte le Genti : “Di ogni tribù, lingua, popolo e nazione”(Ap5,9b). L'inculturazione dal Concilio in poi ha ritrovato in toni chiari il suo significato di “mediazione vitale” del Buon Messaggio. Mediazione vitale, quindi: elemento “essenziale” alla cattolicità. Non è infatti pensabile la trasmissione della fede prescindendo dalle culture dei popoli, o peggio ancora, egemonizzando nel Messaggio, una cultura a scapito delle altre.

La Sardegna, pur essendo politicamente annessa all'Italia, possiede, come ben sappiamo, un humus storico/culturale proprio, sostenuto ed arricchito da una lingua, che, avendo con esso camminato, ne è diventata a tutto tondo la fedele interprete. E di lingua ormai si può parlare, visto che specialisti di portata internazionale hanno superato l'obsoleta diatriba “lingua, dialetto...”. Inoltre, il fiorire di movimenti, associazioni culturali impegnati a mantenerla viva e diffonderla in tutti gli ambiti del vissuto, ha contribuito a sfatare quei falsi(e di infimo tenore culturale)luoghi comuni che per anni la relegarono nel limbo dei “socioletti per ceti incolti”.

E' pur vero che persiste ancora certa confusione, campanilismi ed atteggiamenti che rallentano preziose sintesi (le quali, ahimè, a mio avviso già dovrebbero essere in atto); tutto ciò, però, non annulla le positività di cui sopra.
E sia anche vero che fino ad ora i sardi non siamo del tutto riusciti a capire il vantaggio derivante dalla conoscenza di due lingue: maggiore ricchezza,e, come si sa, maggiore predisposizione verso l'apprendimento di altre. Per dirla al rovescio: non abbiamo ancora preso coscienza dalla notevole sconfitta culturale che potrebbe significare la perdita della lingua sarda.

Sono emblematici in proposito gli esempi di identità bilingue dell'Alto Adige,della Valle d'Aosta, delle valli ladine(per rimanere in Italia)o del quechua in Perù, del guaranì in Paraguay, eccetera; o come difendano il loro “furlan”(incluso nell'ambito liturgico)i friulani. Tra l'altro, fu proprio un sacerdote che creò una sorta di “ friulano coinè” , visto che anche nella loro realtà(come in tante altre) le parlate paesane sono caratterizzate da varianti proprie. Ed è di recente annuncio l'elaborazione di un Messale in lingua friulana. Mentre risale al 2003 la prima messa in lingua ladina.

E' mia opinione che anche la Chiesa sarda possa e debba fare la sua parte per quanto riguarda la riscoperta del nostro patrimonio linguistico: sono diversi coloro che lo auspicano nell'ambito del laicato. Tralascio l'argomento della “religiosità popolare”: un enorme ricchezza di fede e tradizione, che, secondo quanto lessi in una sintesi del Sinodo Sardo (forse il penultimo?) è già oggetto di maggiore attenzione.

Un aspetto da prendere in particolare considerazione(e qui niente di nuovo) è senza dubbio quello della “Celebrazione Eucaristica” e della traduzione della Bibbia.

CELEBRAZIONE EUCARISTICA: ho sentito dire che lo scoglio più duro sia, per l'appunto, la traduzione della celebrazione eucaristica in lingua sarda. Comprendo quanto una realtà così centrale della liturgia richieda  termini che in nessun modo possano tradirne il significato; mi è però difficile capire come ciò possa essere un problema per la lingua sarda più di quanto lo sia stato per quella italiana, spagnola, araba, tedesca, portoghese, ladina, kirghisa, giapponese, guaranì ...

Due ulteriori obiezioni ho colto al riguardo, più o meno simili alla prima: la difficoltà per una formulazione corretta che renda valide le preghiere eucaristiche e la non attitudine (della lingua sarda) a fini di specifiche terminologie teologiche/liturgiche. Credo che per ambedue questioni valga lo stesso sopracitato esempio. In definitiva, e sempre riguardo la preghiera eucaristica: un gruppo di teologi, affiancati da linguisti, avrebbe così tante difficoltà per plasmare tali formule da sottoporre poi all'autorità ecclesiastica? Credo proprio di no.

Per quanto riguarda l'uso di termini specifici sempre in contesto teologico/spirituale, si tenga poi conto di due aspetti: 1°- certi vocaboli si ritengono inesistenti solo perché non più usati nella lingua corrente; 2°- quando poi ne sorga la necessità, la stessa lingua(così lo confermano gli specialisti)è abilitata per coniare in se stessa nuovi termini. Il nostro ricco passato dà fede di ciò. Basti pensare al capolavoro legislativo che fu la “Carta de Logu”... i “Condaghes”... i “Goccius”. Legislazioni, documenti notarili ed espressioni di fede, ricche di sfumature giuridiche, politiche, economiche, religiose . E se fu possibile allora...

Ho raccolto l'anelito di numerosi fedeli(per la maggior parte giovani, di elevata formazione culturale, molti dei quali parlanti più lingue )che saluterebbero gioiosi la Celebrazione Eucaristica “in limba”.

Penso che sarebbe una novità arricchente sotto tutti i punti di vista poter offrire questa possibilità “ad experimentum”, magari prevedendo, fra gli orari delle messe domenicali(in lingua italiana), una in lingua sarda; un po' come succede negli altri siti bilingui.
Due aneddoti significativi: nell'agosto 2008, a Bressanone, Benedetto XVI, oltre che in italiano si espresse in tedesco e ladino. Segno di un profondo rispetto per quelle popolazioni dalla marcata specificità culturale e linguistica.
Quando lo stesso Pontefice, in visita a Cagliari, pronunciò una frase ("mama, fiza e isposa dae su Sennori”) in lingua sarda, tutti, spontaneamente, applaudirono. Forse che quelle parole fecero vibrare una corda ancora fortemente sensibile nell'animo di ogni uomo e donna della nostra terra?

TRADUZIONE DELLLA BIBBIA: credo debba essere un'impresa gioiosa, tale da riempire di soddisfazione sia i fedeli che i loro Pastori. Conosco addirittura dei non credenti che ne sarebbero felici! Alcuni mesi fa ho appreso dal TG circa un incontro(tenutosi a Cagliari) tra membri della chiesa sarda e quella catalana, col fine di scambiare esperienze al riguardo. Ne sono stato felice ed auguro un lavoro non troppo lento.
Davanti alle richieste finora espresse, si potrebbe obiettare la necessità di far fronte a problemi di maggiore urgenza, cosa senz'altro vera. Tuttavia non è da sottovalutare l'aspetto della specifica cultura di un popolo, attraverso la quale vengono canalizzate e filtrate le emozioni ed i sentimenti più profondi, inclusa la dimensione religiosa. Un popolo cosciente e sanamente orgoglioso della propria cultura/identità/lingua, è di gran lunga stimolato ad affrontare tutti gli aspetti della vita, inclusi quelli di carattere sociale ed economico. Questo assioma ha funzionato(e sta funzionando) in altre realtà segnate da carenze economiche e sociali enormemente più drammatiche delle nostre: perché da noi no?

Un altro chiarimento mi si permetta: quanto finora espresso in nessun modo vuol celare la subdola pretesa di disdegnare od osteggiare quegli aspetti positivi della cultura più propriamente italiana o di altra entità nazionale; unica ragione è: esprimere con forza un sacrosanto anelito, un “diritto/dovere”: la valorizzazione di un patrimonio culturale/linguistico/storico: il più specifico... il più equipaggiato di personalità propria fra tutte le regioni d'Italia.

I nostri antenati hanno pregato Dio in sardo per quasi duemila anni e molti continuano a farlo ancora oggi. Il Signore, per tutto questo tempo, ha ascoltato e gradito i canti, le suppliche, le lodi. Son certo che sia ancora disposto a farlo. 

BASI MILITARI.

Ad esser sincero, non saprei da dove iniziare per affrontare un così scottante problema. Ad ogni modo ci proverò.

Dal secondo dopoguerra in poi, la Nazione italiana, causa ragioni storiche a tutti note - o forse no? - ospita numerose basi militari. Pare che il 60% di queste si trovino sul suolo sardo. Strano e sospetto criterio distributivo, in ragion del quale si potrebbe parlare della nostra isola come di una vera e propria “colonia” dello Stato Italiano e di altre Nazioni.

La Chiesa Cattolica, specie durante il pontificato di Giovanni Paolo II (e l'attuale di papa Benedetto)ha percorso un cammino di felice maturazione rispetto all'uso della guerra e della violenza con presunti fini di difesa civile (anche attraverso concrete richieste di perdono circa posizioni e azioni assunte nel passato). E non poteva essere altrimenti. Chi vive e annuncia il messaggio di Gesù non può che permanere nel Suo stile di vita: la non violenza attiva.

Le basi militari, oggigiorno, oltre ad essere simbolo di una celata prepotenza vigliaccamente versata solo verso quei Popoli privi di risorse economiche(quindi più deboli), sono, nello specifico della nostra isola, una fonte di problemi di gravissima entità. La parvenza di benessere economico(in realtà, una mera economia di sopravvivenza)che codeste basi offrono agli abitanti attigui, sono enormemente/inversamente proporzionali a ciò che viene devastato e depredato a largo raggio in termini di: deturpazione ed inquinamento del territorio, vite umane, occupazione di immensi spazi (che si potrebbero oltremodo impiegare), immissione nell'atmosfera e nel suolo di agenti altamente contaminanti e le concause che da tutto ciò derivano. Sorge quindi il drammatico quesito etico/morale: ci si può accontentare di sostenere (ribadisco: in termini minimi) un' economia basata sulla presenza di una struttura predisposta a generare la morte di: bambini, anziani, giovani (tanti giovani!), donne e uomini innocenti, già di per se' massacrati dalla miseria? (sono sempre i Paesi poveri i destinatari delle odierne iniziative belliche!).

IL POLIGONO DI TIRO DI SALTO DI QUIRRA: si tratta, come ben sapete, di una zona che comprende diversi di ettari di fauna e flora bellissima, espropriata a suo tempo dal Governo Italiano per creare un poligono di tiro. Oltre l'Italia, altre nazioni fanno uso dell'area e, cosa ancor più grave se fosse vera, pare vi abbiano accesso anche certe industrie belliche (non gratuitamente) per poter testare i loro... “prodotti”.
Da diversi anni a questa parte, nei paesi interessati a quell'area, si verificano numerose e misteriose morti per tumore, malformazioni di feti, aborti spontanei(sia nelle persone che negli animali). Che tipo di esperimenti si realizzano celati dal segreto di Stato?

Il Governo italiano non dà risposte. I politici sardi fanno finta di niente. Ci troviamo forse di fronte ad una sorta di oscuro affare appoggiato dal “Segreto di Stato?” Chissà! E' moralmente lecito sperimentare armi dagli effetti sconosciuti su aree contigue a centri abitati, solo perché i criminali affari delle armi devono saziare i salvadanai di misteriosi e disonesti personaggi che da quei luoghi vivono a più che prudenziale distanza?

Mi consta che ultimamente la magistratura stia cercando di far luce circa quell'area, ove, tra l'altro, vi pascolano numerose mandrie e greggi, trasformate in alimenti ed ingerite da noi consumati(!).

Penso che, più o meno, la stessa cosa potrebbe dirsi circa l'area di Teulada e di Capo Frasca.

Di tutto cuore un “grazie” a quelle persone che da tempo stanno coraggiosamente denunciando e sensibilizzando.

Carissimi vescovi: cosciente di aver aggiunto sostanzialmente niente ad un tema che voi conoscerete nei dettagli, porto la certezza che - col coraggio del pastore che protegge il proprio gregge dai Lupi Rapaci a costo di dare la vita(cf. Gv10,11) - stiate da tempo affrontando così scottante problema. Sono anche consapevole delle difficoltà esistenti di fronte al muro di omertà opposto da quei Poteri (dello Stato) che dovrebbero essere i garanti della legalità e della corretta informazione (atta al bene dei cittadini), mentre, all'opposto, ci troviamo di fronte all'occultamento di atti illeciti (contro la dignità della persona umana in ogni suo aspetto) .

È pur vero che anche la dottrina cattolica ammette la legittima difesa. È vero (cf. CCC, n.2308 ; Gaudium et Spes, n.81). Ma dopo mille ricorsi previ. La piattaforma inamovibile è che “la vita è sacra” (CCC, n.2258), inclusa quella dei cittadini attigui ai Poligoni di Stato. La difesa armata come “extrema ratio” è supportata da un rigoroso substrato etico circa i motivi reali, i popoli coinvolti, i prigionieri (cf. ivi, nn. 2309.2313-2314). Fermo restando che la guerra rimane una “antica schiavitù”(ivi, n.2307) da scongiurare con ogni mezzo (cf. ivi, n.2308).

Come ben sapete, i pronunciamenti del Magistero cattolico negli ultimi 90 anni, hanno fatto maturare notevolmente la coscienza cristiana di fronte alla guerra, eliminando del tutto il concetto di "guerra giusta" a favore di una proporzionata legittima difesa. Papa Benedetto XV, agli albori del XX secolo, parla di: “Abbandono della guerra […] diminuzione progressiva degli armamenti” (Nota ai capi dei popoli belligeranti, 1° agosto 1917). Numerosi gli appelli di Pio XI e Pio XII : " Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra" (Radiomessaggio di papa Pio XII rivolto ai governanti e ai Popoli nell'imminente pericolo della guerra, 24 agosto 1939). Una frase forse oggi scontata, ma non quando fu pronunciata:  impopolare e fuori coro, tra le  martellanti campagne propagandistiche dei Governi atte ad eccitare l'euforia bellica dei citadini.

Un'indubbia pietra miliare è la Lettera Enciclica di Giovanni XXIII, “Pacem in terris”, che denuncia: “Come nelle comunità […] più sviluppate[...]si continuino a creare armamenti giganteschi […] ; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche [vengono] sottoposti a sacrifici non lievi” (n.59). La Lettera continua richiamando alla piena ragionevolezza dalla quale scaturisca il disarmo progressivo ed integrale ( cf. nn. 60-63).

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella “Gaudium et Spes” condanna a chiare note “l'inumanità della guerra” (n.77) ribadendo che “il progresso delle armi scientifiche [incluse quelle testate nei poligoni nostrani] accrescono l'orrore e l'atrocità della guerra” (n.80).

Paolo VI e Giovanni Paolo II riesprimono in termini radicali i pronunciamenti del Concilio. Nell'accorato appello di Paolo VI lanciato dalla sede delle Nazioni Unite nel 1965 (“Non più la guerra, non più la guerra!”), si condensò un emblematico discredito verso ogni tipo di conflitto armato. Un grido che il Papa espresse ripetutamente e in vari modi durante il corso del suo pontificato.

Anche Giovanni Paolo II, instancabile sostenitore del disarmo totale, fece suo l'appello di Paolo VI: “Mai più la guerra!” (Angelus del 16 marzo 2003). Il suo lungo mandato petrino fu lastricato da numerosi interventi contro gli armamenti. Lapidaria l'affermazione nel discorso di Coventry, il 30 maggio 1982: “La guerra dovrebbe appartenere al tragico passato, alla storia; non dovrebbe più trovare posto nei progetti dell'uomo per il futuro”
Bendetto XVI ha ripreso quel grido “pesante come un macigno”, per niente assimilabile a mero slogan religioso: “Mai più la guerra!” (Assisi, 27 ottobre 2011)

È mia opinione che alla luce di tanto, possa essere di grande importanza la stesura di un “pronunciamento della Conferenza Episcopale Sarda”(rivolto ai fedeli e alla popolazione tutta)sulla scabrosa situazione delle basi militari come sopra espresso, chiarendo la posizione della Chiesa, che è quella del Vangelo... “sine glossa”: quella di Gesù. Un Gesù che gioisce nel dare vera vita ad ogni donna e uomo(cf. s. Ireneo, CH 4,20,5-7; Colletta 5^ domenica di Quaresima, anno A).

È ancora mia opinione che tale pronunciamento sarebbe una boccata di ossigeno per molti, (soprattutto per coloro che si sentono ancora troppo soli nella denuncia), incluse le persone che non professano (o di altra fede)ma che condividono scelte comuni circa l'impegno a favore della dignità umana.
Un pronunciamento chiaro, sostenuto da quei valori fondanti e innegoziabili, potrebbe certo esporsi a critiche e/o diplomatiche ritorsioni; ma sappiamo che non è nella natura della nostra fede misurarsi per consensi. Il Signore ci diede chiaro esempio. Non usò mezzi termini per smascherare le sporche insidie dei potenti di turno. Lui, oggi come allora mette in guardia noi, suoi/e discepoli/e:Ricordate ciò che vi ho detto:nessun discepolo è superiore al proprio Maestro; come hanno perseguitato Me, così faranno anche con voi”(Gv15,20).

Il Signore benedice il vostro lavoro, spesso ingrato ma prezioso ai Suoi occhi.

In Cristo Redentore e in Maria, Nostra Signora di Bonaria, protettrice dei sardi e di tutti i popoli della terra.
 Ignazio Cuncu Piano.
Un saluto cordiale a tutti coloro che condivideranno la visione(ed eventuali apportazioni) degli argomenti plasmati in questo blog.
                                                               (Ignazio Cuncu Piano)