venerdì 8 febbraio 2013

LE LINGUE MODERNE? QUELLE CHE DECIDIAMO PARLARE

Giorni fa ho trascorso una settimana sulla neve assieme ad alunni e genitori. Siamo stati in Carnia, tra Sutrio e Ravascletto (Udine). Un posto incantevole per chi, come me, apprezza la montagna.

Ho sempre considerato i Friulani (in special modo i Carnici) delle genti attente e gelose (nel senso buono del termine) della propria specificità culturale, della propria... lingua (difesa ad oltranza e con proficui risultati); motivo per cui non mi son lasciato sfuggire l'occasione per: curiosare, osservare, chiedere e soprattutto... ascoltare.

La prima occasione per... l'ascolto, mi cadde addosso comoda comoda, senza doverla cercare, e, guarda caso, toccava l'aspetto che più mi premeva: la lingua. Sulle piste, il primo giorno, i/le maestri/e di sci hanno diviso i nostri ragazzi in gruppetti a seconda delle abilità sciistiche di ciascuno. Ovviamente con noi parlavano in italiano.

Le mie antenne si aguzzarono quando sentii che tra loro la conversazione si svolgeva in rigoroso furlan (friulano), senza distinzione di età (che variava dai 24 ai 60 anni). Ho sentito alcuni/e (maestri/e) dar lezioni in inglese, francese, tedesco e sloveno. Ma tra di loro...!

Dopo qualche giorno di convivenza sui campi da sci, è sorta certa confidenza. Così, nei momenti di pausa, attorno a delle fumanti tazze di vino cotto, ho esternato le mie curiosità riguardo la... lingua friulana ( lingua e non dialetto, come gentilmente hanno tenuto a precisarmi!). E così Marco, 24 anni, mi condivide con simpatico e spontaneo orgoglio il suo vanto per saper parlare correntemente il furlan carnico. Può dare lezioni di sci e snowboard in inglese e francese, tedesco, russo, sloveno e parla un italiano (ne prendo atto) abbastanza scevro da inflessioni (cosa, quest'ultima, non troppo importante).

E gli altri giovani: cosa pensano in proposito?”. La domanda che più m'interessa : “Soprattutto nei paesi, molti [giovani] parlano in furlan, coscienti che in questo modo stiano preservando un aspetto midollare del patrimonio culturale...”. Risponde Marco.

Non c'è tanto da stupirsi, se pensiamo che queste valli, circa quarant'anni fa, hanno visto sorgere una vera e propria battaglia culturale da cui sorse, per esempio, il movimento “Glesie Furlane” (Chiesa friulana): un gruppo di cittadini che, sostenuti da molti parroci, rivendicano il diritto di esprimere la fede nella lingua più connaturale. La Bibbia e la Celebrazione Eucaristica in “marilenghe” (lingua madre) sono già una realtà.

Il furlan è una lingua romanza appartenente al gruppo retoromanzo (insieme al romancio e al ladino). Viene tutt'ora parlata anche in varie parti del mondo ove siano presenti comunità figlie dell'emigrazione friulana (Brasile, Argentina, Stati Uniti, Sudafrica, Sardegna, Roma, Agro Pontino). In Sudamerica ho avuto modo di comprovarlo con amici discendenti...

Nel 1999 lo Stato Italiano l'ha riconosciuta come lingua minoritaria, permettendone l'insegnamento nelle scuole.

Possiamo parlare del furlan come di una lingua viva e moderna? Certo che si! Perché, in fin dei conti, ciò che conferisce modernità, attualità, vitalità ad una lingua, è la “determinazione a volerla parlare in tutti gli ambiti del normale quotidiano, senza vergogna alcuna”. Quei maestri, verbigrazia, nel parlare tra loro, non si ponevano nessun problema circa la presenza di turisti anglofoni, francofoni, teutonici, balcanici, men che meno italiani. E così dev'essere!

La scelta di preservare e favorire il furlan è stata portata avanti dai Friulani; e da chi se no? Ogni popolo è il naturale custode della propria lingua madre. Ogni popolo ha l'onere, l'onore, il diritto e - perché no? - il piacere di preservare, arricchire e tramandare la medesima. Ogni popolo possiede il naturale diritto (che il legislatore dovrebbe semplicemente riconoscere senza i troppi indugi spesso offerti dalla ragion di Stato) di usare l'idioma che esprima il proprio humus culturale.

In tal proposito fu chiaro un mio caro amico del sud delI' India: “Parlo l'inglese per interagire con le realtà indiane contestualizzate in questa lingua e col resto del mondo; ma la mia [vera lingua], quella che mi permette di esprimermi a tutto tondo, quella in cui mi identifico, è ...”

Le Genti friulane, pur tra mille difficoltà, alcune contraddizioni interne e forse qualche esagerazione qua e la', stanno riuscendo nel loro intento. Nessuno ha regalato loro niente. Tutti i traguardi sono stati raggiunti in... salita e spesso contro vento.

C'è un aspetto in tutta questa creativa vicenda che mi preme risaltare. Qual'è stata l'idea portante sulla quale il Popolo friulano ha fatto perno? Secondo me, un'idea che è più di un'idea, ma una verità, un assioma: le lingue minoritarie possiedono lo stesso tenore culturale di quelle maggioritarie! Non basta prenderne atto, bisogna poi convincersi e passare ai fatti, cioè alla salvaguardia (della lingua minoritaria), senza guardare in faccia a nessuno!

Il percorso del furlan, presenta analogie e differenze con quello della lingua sarda (lingua che, tra l'altro, riscuote simpatia e solidarietà tra i Friulani).

Quali le analogie? Ne cito tre, fra altre: anche il sardo è una lingua minoritaria; anche il sardo è una lingua ( nella grammatica, nel lessico, nella morfologia, nella capacità espressiva, poetica, descrittiva...) dallo spessore culturale e storico pari alle altre (lingue); anche il sardo è una lingua che ha il diritto di esistere, a non estinguersi.

Le differenze? Noi Sardi siamo troppo remissivi... stiamo rinunciando facilmente... abbiamo una certa vergogna circa la nostra lingua. Ancora non stiamo lottando ad oltranza e in maniera compatta. Non siamo poi del tutto convinti che la nostra lingua sia bella, ricca, espressiva e armoniosa. Il nostro complesso d'inferiorità riverbera molto su di essa. Saremmo capaci, come i maestri di sci di cui sopra, di favellare gioiosamente e spontaneamente in sardo nel bel mezzo di genti italiche, alemanne, franche, celtiche, sassoni, slave...? Non so!.

Spesso ci facciamo intimidire da qualche idiota-ignorante che descrive (e deride) la nostra lingua come un ammasso di arcaismi terminanti in “u” ( osservazione incolore quanto lacunosa). Forse i Portoghesi, i Brasiliani, i Rumeni, certi Popoli africani, s'inibiscono per analoghi motivi? Forse il principe Alberto di Monaco si fa problemi quando parla in monegasco agli abitanti delPrincipatu de Mùnegu (così si traduce il "Principato di Monaco" in lingua monegasca) ? ”

Chi si approccia all'osservazione di una lingua diversa, dovrebbe avere la “colta umiltà” di prendere le distanze dai suoni e dalle forme della propria (lingua), tenendo presente che ogni idioma, nel suo insieme, fa riferimento a se stesso.

Lasciamo quindi le fesserie ai fessi! La cultura, quella vera, non passa certo per una “bbu” tramutata in “bom” o in “bam”, in “bim” o in qualche altra fonetica bigiotteria da salotto.

Ignazio Cuncu Piano.