TURISMO IN SARDEGNA:
RICREARE LA RICREAZIONE.
Ogni tanto su giornali,
riviste, aeroporti... mi capita di osservare variopinti frammenti
costieri dall'inequivocabile firma. Un invito ad approdare ai nostri
lidi. Niente di male un po' di pubblicità. Ma insistere sempre sul
mare mi sembra una forzatura, un sovrappiù. Alla stessa stregua di
una Venezia che dovesse continuamente ricordarci le romantiche calli
d'acqua, ovvero: la sua più ovvia peculiarità turistica.
Che l'Isola sia fornita
di coste, spiagge, mare splendido... è noto a tutti. Dovrebbe essere
un dato così scontato nella nostra mentalità turistica, da far
centrare l'attenzione su aspetti più importanti: quelli che fanno
al nostro merito, per capirci. Perché, siamo onesti: quegli
splendori naturali sono annoverabili tra i meriti del buon Dio!
Mentre nostro vanto sarà, verbigrazia, l'impegno nella salvaguardia
di cotanta bellezza.
Nell'Isola, dal suo
espandersi in poi, abbiamo assistito di frequente ad un turismo
abusato, altamente inquinante: dalla struggente edilizia alla
sporcizia tra la vegetazione. Per non parlare poi di certe
stravaganti-ripetute menomazioni, effettuate da chi ha la cafona
abitudine di strappare souvenir direttamente da Madre Natura. Tutti
abusi dovuti - oltre all'inciviltà di chi li commette - alla
nostra “lassezza ecologica”. Se fossimo dovutamente esigenti nel
rispettare e far rispettare, applicando all'occorrenza proporzionati
“iscramentus” (multe a mo' di monito) legali, allora la musica sarebbe altra! Nei
luoghi dove il controllo esiste, si può osservare come - oltre alle
persone addette - sia la popolazione tutta a vigilare. Si crea così
una sorta di “eco-atmosfera” tale, che le persone che che lì
villeggiano si sentono gentilmente... controllate (forse il termine
non è il più adatto), esortate al rispetto di una porzione del
pianeta che - UNESCO o non UNESCO - è patrimonio dell'intera
umanità.
E se anche noi facessimo
così? I turisti verrebbero più volentieri e più... civilmente selezionati!
Perché laddove c'è serietà
ecologica, cordialità e prezzi ragionevoli, il buon
turismo è vincente. Sì: esiste un turismo serio, amante della
natura, della semplicità, dalle esigenze non sofisticate, attento
alle specifiche culture dei popoli - quello
dobbiamo favorire! - il quale apprezza la trilogia:
cordialità, natura ben curata, prezzi.
La salvaguardia ecologica
quindi, ai primi posti. Da essa dipende tutto il resto. Che senso
avrebbe lucrare avidamente su un mal gestito turismo lasciando
deperire, alla fin fine, la stessa fonte di lavoro? Eppure spesso
così accade. E il turista se ne va con l'impressione apposta:
passiva cura dell'ambiente (molti, al loro ritorno dalla Sardegna,
portano l'impressione di : paradisiaci ambienti spesso abbandonati a
se stessi, alla mercé del primo malintenzionato...), prezzi esosi,
servizio evanescente e a muso lungo. Naturalmente non sempre è così.
Laddove curiamo il tutto e siamo cordiali (e quando vogliamo,
sappiamo esserlo in maniera singolare), i visitanti se ne accorgono,
apprezzano molto... e ritornano ben disposti. Perché si sentono
bene, caldamente accolti, messi al loro agio, rispettati e invitati a
rispettare.
La vocazione turistica ,
in fin dei conti, è una missione tutta speciale dove i rapporti
umani, più in là delle apparenze, ne costituiscono la piattaforma.
In fondo si tratta di un incontro tra due gruppi di persone: quelle
che vivono il tempo della ricreazione, e coloro che ospitano facendo
sì che quest'ultima sia piacevole. Ne scaturisce un arricchimento
reciproco, che rende la vocazione turistica un'esperienza assai più
profonda di un mero lucrativo mestiere.
La predisposizione al
turismo non può prescindere dalla rigorosa pulizia in senso ampio.
Mi riferisco alla nettezza urbana ben organizzata, ai cassonetti,
alle cose fatte bene, messe in ordine. Tralasciare o meno questi
aspetti fa la differenza eccome! No: non basta il bel mare! Tutto
l'insieme dev'essere bello. Bello e... pulito. Perché un autentico
senso del turismo include l'idea del bello “armonico con
l'ambiente” : “ Chi a palas de is ermosas plaias, de s'oru 'e
mari, ddoi fuiaus donnia calidadi 'e aliga e fareus agatai donnia
bruttesa manna, e ddoi funt ainas ghettadas a pari, a sa managa, is
turistas sin-ddi acatant e no at a essi ua recrama bona pro
nosus...”.
Ed ecco il turno dei
segnali stradali. Insufficienti, come ben sappiamo. E come fa il
malcapitato turista...? Chi traccia la segnaletica dovrebbe mettersi
costantemente nei panni del visitatore che per la prima volta si
cimenta nella rete stradale isolana. Spesso - causa cartelli mancanti
o poco orientanti - si è costretti giocare alla roulet russa per
azzeccare la meta prescelta! D'accordo: ci sono le mappe e tecnologie
varie. Ma non ci esimono dal nostro civico dovere. Perché quando sei
lì, davanti al fatidico e ingarbugliato incrocio, nella deserta
campagna, specie se immerso nella tenebrosa notte sarda: una buona
segnaletica è un sollievo da non poco!
Insomma: siamo noi che,
in certi aspetti dobbiamo adattarci alle esigenze dei visitanti.
Penso, per esempio, alla configurazione degli orari (perlomeno quelli
estivi) di musei, chiese,... Ho notato (e mi è stato fatto notare)
che soprattutto i turisti di provenienza anglosassone o nordica in
generale, nelle visite alle nostre città, non rispettano le
pause canicolari. Chiudere bottega in questo lasso di tempo non
equivale certo a mettere al loro agio queste persone.
Eppoi le chiese. I
turisti amano visitare le nostre chiese! Ma - ahimè! - molti sono
costretti a sostare sconsolati all'uscio per via dei...
cartelli. Non mi pare risponda al buon senso proibire un
abbigliamento più che consono nelle torride estati sarde. Pantaloni
fino al ginocchio e magliette prive di maniche (non aderenti e senza
scollature o riduzioni varie) - tipica uniforme del turista che
cammina, sia nell'uomo che nella donna - mi sembrano abiti più che
dignitosi. In altri Paesi caldi come la nostra Isola, non si fanno di
questi problemi.
Ed ora... circa la
grande-grave questione: la massiva edilizia nelle coste è sinonimo
di maggior profitto economico? No. In teoria l'assioma pare
assimilato; ma nella prassi...! Tutt'ora si assiste all'innalzamento
di cubiche strutture in luoghi ancora vergini, quasi dia fastidio che
rimangano degli ambiti non imbrattati da mattoni e cemento. Insomma:
ingordi fino all'osso! È chiaro
che l'edilizia debba essere contemplata dall'industria turistica, ma
plasmando il tutto in sintonia con l'ambiente; le coste sarde non
sono la riviera Adriatica, Punta del Este o le spiagge carioca.
Nemmeno il
“turismo di lusso” è di ecologica ed economica convenienza. In
gran parte parliamo di gestioni dalla titolarità oltremare, le
quali, in proporzione agli ingenti sacrifici ambientali da esse
richiesti, lasciano esigui benefici in loco (in termini complessivi).
Nemmeno l'agricoltura, la manifattura e l'allevamento nostrani si
beneficiano come dovuto, visto che negli empori di questi agglomerati
troviamo facilmente - e non da adesso - notevoli quantità di
prodotti esterni.
Insomma: il
turismo costiero (guarda caso, quello che maggiormente gonfia il
nostro vanto) parla ancora di un protagonismo gestionale più o meno
periferico da parte nostra. I capitali esterni facilmente hanno la
meglio sulla nostra remissività territoriale. E se è pur vero che
la Regione Autonoma (!) in suddette manovre ha sostenuto (e
sostiene) gravi azioni complici, tutti dobbiamo sentirci in certo
modo responsabili ed interpellati verso un cambio di rotta. Perché
sa di presa in giro sapere che gli effetti di costose inversioni
pubblicitarie (cf. proemio), defluiscano, in buona parte, entro
salvadanai altrui! Perché ha del patetico dover sentire ancora oggi:
“ Ma è vero che alcuni facoltosi Arabi stanno acquistando quel
pezzo di costa per farci su un complesso turistico? Ah, meno male!
Così almeno ci sarà qualche posticino di lavoro...!”. No! Si
possono comprendere i poveri agricoltori che anni fa vendettero le
loro terre costiere (ignari di quanto sarebbe poi successo)...; ma
oggi...!
La mania che
abbiamo di svendere casa per ottenere qualche briciola in cambio,
facendoci “tzeràccus e galliòfus in domu nosta!” (anche
se in un primo momento tutto brilli d' auree promesse) costerà cara
alle generazioni future. Perché la verità è che non c'è somma di
danaro, per quanto alta, che valga la libertà di poter disporre in
casa propria... che valga l'umana e adulta (adulta!) soddisfazione
che da essa (dalla libertà sovrana) scaturisce.
E il turismo
di massa favorisce...? Anche in questo caso credo di no. Non si
tratta d'imbastire la sagra dei “no”, ma di ragionare con
profondo realismo sulle conseguenze a “largo raggio” (le più
importanti!) di un certo andazzo, e capire come dietro alcuni “no”,
possano librarsi tanti “sì”. È un
dovere che abbiamo verso noi stessi e le generazioni in avvenire.
Il turismo
di massa non è sinonimo di maggior guadagno complessivo; è
anch'esso altamente inquinante e non proporzionalmente remunerante.
Il rischio è di rimanere sfiancati su vari fronti.
Certo: il
numero è importante per il fatturato, e va preso in considerazione;
ma con misura (non so se esistano studi sul rapporto:
quantità/tolleranza ecologica/proventi economici).
In
quest'ottica di contenzione sarebbero da contemplare scelte rivolte
ad un turismo più parsimonioso, scevre da scriteriati auspici di
presenze massive funzionali ad un avido profitto dalle gambe corte.
Un turismo quindi moderato nella capacità di offrirci ricchezza, ma
certamente più solido in termini di continuità nel tempo. In fin
dei conti è questo quel che più importa.
Un aspetto
tutto bello è la valorizzazione, da parte di sempre più paesi, del
proprio patrimonio ambientale, storico, culturale(incluse sagre,
feste, in alcuni casi riesumate o riportate all'originale identità,
attraverso rigorose ricerche storiche), artistico, architettonico,
urbanistico, archeologico, gastronomico, agro-pastorale,
artigianale... Si enumerano tanti imitabili esempi in questo senso. È
consolante vedere paesini ben curati e con fiammanti
indicazioni (quando si vuole...!): gialle, marroni... ben
direzionate, non bucherellate e sequenzialmente distribuite. Tutto
ciò favorisce quell'aspetto che in fin dei conti è l'anima di un
turismo umanizzante, intelligente , creativo e auto-pubblicizzante:
l'interazione tra ricreazione,
natura e cultura. Entrambi gli aspetti sono legati alla crescita
della persona. Perché anche la ricreazione, in fin dei conti, è
tempo di crescita; un peculiare modo di far crescere la propria vita.
C'è di più.
L'impegno nel condividere la nostra cultura col turista-ospite, può
oltremodo contribuire al “riapproprio identitario”. Perché non
si tratta di svendere uno sbiadito folklore da spettacolo (penso ai
balli indigeni nelle piazzette di Porto Cervo o robe simili), ma una
gioiosa condivisione col visitatore, di ciò che fece e fa parte del
nostro vissuto. In questo senso il turismo non sarà un saccheggio
mal sopportato per irrisori contentini economici; non sarà nemmeno
un fattore di “annacquamento dell'identità”(tipico di certi
luoghi dal turismo massivo e caotico, ove tutto è immolato
sull'altare del solo profitto), ma: stimolo per la salvaguardia
dell'identità, la quale in larga misura dovrà essere il “tocco
peculiare” della nostra personalità turistica e sempre in larga
misura: la “buona ragione” di quelle donne e uomini che scelgono
di ricrearsi in casa nostra.
In tale contesto turistico-culturale, le stesse bellezze naturali
acquistano più forma, volgendosi cornice pittorica di un quadro
ambientalistico e antropologico. Saranno, se così si può dire, il
pretesto favorente un turismo ad ampio respiro, che sa andare oltre
il... bel mare. È ovvio che sarà poi il
turista a fare la scelta, ma all'interno di una realtà ricreativa
che che sappia connetterlo (in qualsiasi punto egli arrivi) al tutto
geografico e culturale. Le coste quindi come punto di approdo e di
partenza, costellate da esaustive informazioni verso l'ogni dove
dell'Isola. Così facevano le nostre Madri e Padri dei Nuraghi, già
allora capaci di connettere le coste con l'interno, per favorire il
commercio con i popoli interagenti. Quanti esempi moderni dai
nostri... Antichi!
Sappiamo
che la scoperta delle zone interne è già, in parte, una
realtà: passeggiate, escursioni organizzate, sport legati alla
montagna,... parchi naturali, il fiorire degli agriturismi. A
parziale (e spero progressiva) smentita dell'incipit di questa stessa
riflessione, mi è piacevole scorgere, in qualche rivista,
pubblicità su tradizionali eventi religiosi (di grande interesse
culturale anche per un non cattolico), inseribili in quel turismo
spirituale che ha preso forma in questi ultimi trent'anni.
Insomma:
tutte iniziative che parlano di una creativa in atto. E non è poca
cosa prenderne coscienza, visto che sarà la creatività consorziata
la chiave per... “l'invenzione” di posti di lavoro, in un futuro
molto prossimo. Sì: un turismo “migliorato e ben reinventato”,
offrirebbe molti dignitosi posti di lavoro in più nella nostra
Isola.
A
prescindere da tali progressi, la nostra mentalità turistica
necessita un notevole salto di qualità. I circa quarant'anni di
rodaggio pare non ci siano bastati. Sarebbe a mio avviso proficuo che
classe politica e cittadini ci dessimo spazi di riflessione per
sondarne i perché.
Alcuni passi
sono stati dati - come già sopra - e bisogna prenderne positivamente
atto. Ma, insisto, ha da maturare una visione d'insieme, la visione
del “maestro d'orchestra”, dell'interconnessione, affinché si
possa parlare di industria turistica assemblata... affinché
l'inversione di energie umane, ecologiche, economiche... confluisca
in un equivalente e ben distribuito profitto.
Sorge a
questo punto la necessità della messa in atto di una vera e propria
“educazione al turismo”. Regione, Provincie e Comuni dovrebbero
investirci ampie energie sostenute da sagge strategie. Non so, per
esempio, quante scuole alberghiere ci siano nell'Isola e la
percentuale di studenti motivati a frequentarle. I nostri giovani
dovrebbero essere costantemente stimolati circa tale indirizzo ed
aiutati su eventuali iniziative, onde favorire il formarsi di una
solida classe imprenditrice autoctona nel settore. Altro che
parassitari impieghi nel pubblico! Altro che Industria Chimica e
porcherie varie! Sia chiaro: non ce l'ho coll'industria, ma con i
velenosi e maleodoranti mostri chimici che tanti denari (nostri) e
risorse naturali (come: acqua,...) hanno succhiato e succhiano;
inconciliabili con l'altissima vocazione turistica delle nostre oasi.
Inutile
nascondersi dietro un dito: industria pesante e servitù militari,
oltre a mortificare la nostra sovranità territoriale, creano – lo
sappiamo – sacche d'inquinamento dagli effetti devastanti; diciamo
pure... mortali, per non nasconderci dietro anestetizzanti eufemismi.
Andiamo quindi ben oltre la questione del solo (e chiaramente
penalizzato) turismo. Prima o poi dovremo dichiarare nettamente la
nostra sovrana decisione circa un problema di così enorme portata,
al quale solo noi (sardi) possiamo metter fine. Aspettare che tutta
l'acqua bollente si versi dalla pentola, per gridare allo scandalo...
poscia, non farebbe onore alla tempistica di un Popolo che vuol
dirsi: previdente custode delle proprie colline, pianure, montagne;
delle proprie acque e della propria aria... dei propri bambini: della
propria... dignità.
Prima di
concludere, il pensiero volge di nuovo alle coste, alle spiagge; - e
n-ddi torrat! (eh sì! La lingua batte...!) - . Forse,
quando impareremo ad esercitare efficace sovranità sulle nostre
coste, spiagge, mari, così da favorire un ambiente ricreativo sempre
più sano, cordiale e bello “segundu is costuminis nostas”;
quando progressivamente andremo migliorando le interazioni
ambientali-culturali fra le coste e l'Isola tutta, allora potremo
felicemente constatare che le (pur utili) pubblicità costiere su
aeroporti e riviste, diverranno un accessorio del tutto secondario.
Ma ci sarà
da lavorare con tenacia. Nessuno sarà disposto a concederci e a
cederci niente. Nessuno sarà disposto a sottoscrivere nuove regole
del gioco! Dovremo... dobbiamo, già ora: fare, migliorare,
risanare, reinventare... tutto da noi.
Ignazio Cuncu Piano