martedì 15 aprile 2014

LA NAZIONE... VENETA

Giorni fa, ha fatto cronaca l'arresto di un gruppo di persone pronte all'assalto - con tanto di carrarmatino fai da te! - al fine di ottenere l'indipendenza veneta. Non so quanto ci sia di  reale e di gonfiato sulla vicenda.

Devo confessare che quell'artigianale carrarmatino secessionista (una ruspa corazzata), così pericoloso da far tremare chissà chi, mi ha destato certo sorriso! Peccato: a saperlo prima, avrei messo a disposizione la vecchia motozappa di mio nonno: con un po' di miscela, quattro latte mimetiche e un tubo di ghisa (a mo' di cannoncino), avrebbe fatto il suo figurone, apportando manforte alla causa!

Scherzi a parte: in verità il mio sorriso non è rivolto alla ruspetta, ma alle solenni stupidaggini innalzate attorno ad essa, che la vogliono addirittura emblema di... violente derive popolari!

Peccato che il solido Governo Italiano, capace di sgominare con alta determinazione tanto po' po' d'insurrezione, non sia altrettanto risoluto nel prevenire e neutralizzare gli orchestranti (quelli che non scendono in piazza) di guerriglie (leggasi: violente derive popolari) coi loro mini-eserciti, che puntualmente insidiano pacifiche manifestazioni di onesti cittadini, trasformando vie, piazze e negozi della Capitale (e non solo) in luoghi di battaglia e di macerie!

Chissà perché: pare che certe violenze sembrino addirittura tollerate. Mah! Intrigante mistero!

Sia chiaro che ogni artefatto a scopo offensivo, fosse anche un sasso acuminato, debba essere inibito dagli organismi preposti all'incolumità dei cittadini: ci mancherebbe altro! Ad ogni modo credo che l'antitalica ruspetta non sia più colpevole di altre insane iniziative, che le persistenti Ragioni di Stato mettono in atto nel suolo tricolore, quasi sempre a nostra insaputa.

Eppoi, mantenendo analogie: quante le vesti stracciate contro i più aggressivi cuginastri della frustrata ruspetta?! Mi riferisco ai corazzati bulldozer israeliani (marca Caterpillar) che schiacciano cose, case e qualche volta... persone!

Per non parlare delle  armi sparate - in casa italiana -  in odor di affari, che avvelenano le comunità attigue a poligoni di tiro e a basi militari. E che dire di altri esperimenti eseguiti sulla nostre carne da cavia (scie chimiche e porcate varie)?! Il tutto schermato da solenni segreti di Stato (ipocriti eufemismi, spesso varati in antinomia coi diritti umani), spesso avallati da decreti fatti alla chetichella dai nostri Governi-fantoccio. Se poi entrassimo nel campo dei soprusi fiscali, dei debiti non pagati (dallo Stato che combatte l'evasione...) ai privati ... !! 

E siamo solo alla punta dell'iceberg di una lunga serie di abusate azioni di Stato consumate sottobanco.

A scanso di equivoci: non sto giustificando una violenza con altre; ne' intendo sminuire la gravità dell'accaduto, se attinente alle notizie riportate. L'aggressiva ruspetta veneta è pur sempre simbolo di una forma del tutto deleteria, non civile, obsoleta, decisamente non consona all'ottenimento di un fine così nobile come l'autodeterminazione, la quale dà ragione di se' solo se perseguita con gli strumenti della democrazia, quindi nella rigorosa non violenza attiva.

Non violenza quindi democrazia: unica piattaforma sulla quale un argomento così profondo e delicato (la secessione) può esser trattato in modo legittimo. Soltanto su tale premessa potrei dichiarare di  non aver problema alcuno nell'avallare le decisioni del Popolo veneto, qualora l'anelo a maggiore o totale indipendenza fosse il frutto dei pacifici consensi di una rilevante maggioranza.

Ma: quali i motivi legittimanti l'orientamento di un popolo verso l'autodeterminazione? Per me la risposta è semplice: tutti quelli che quel popolo ritenga giusti, importanti, utili, per se stesso e – dettaglio non irrilevante – per gli altri (parliamo quindi di scelte non lesive della dignità umana, prive di soggiacenze nazionalistiche e robe affini).

Non conosco a fondo l'humus dei Veneti; perciò non saprei dire se l'orientamento verso un'eventuale secessione poggi su basi identitarie di spessore storico-culturale o sul semplice anelo ad un'economia sbrigliata dai pesanti gravami dello Stato Italiano. Non saprei nemmeno dire quanti siano i cittadini veneti che pensino seriamente ad una transizione del genere (leggo in qualche parte: forse metà della popolazione; come qua e là apprendo circa un numero importante di imprenditori che non disdegnerebbe simile opzione).

Supponendo che l'economia sia la ragione fondante: potrebbe, da sola, giustificare una decisione di tale portata? Personalmente credo di sì. Perché l'economia non è solo questione di dare e avere, o di profitto: è parte integrante dell'identità di un popolo; ne manifesta, in un certo senso, il modo di essere; è strettamente legata allo stile di vita, alle tradizioni, alla cultura del lavoro, al godimento della vita, alla festa... all'assetto esistenziale che quel popolo voglia darsi.

In tal senso credo che le Genti venete portino in se' una più che corposa identità, in virtù della quale non stenterebbero a tessere una reale-funzionante personalità nazionale, o quantomeno: una realtà politica di marcata anatomia autonoma.

Spesso, quando è una Regione ricca a volersi separare, quel gesto viene letto come un desiderio di chiudersi nel godimento del proprio benessere, senza ingerenze di sorta. È una reale possibilità. Chiaro: fondare un edificio nazionale sulle basi di una gestione egocentrica delle risorse (dico egocentrica, da non confondere con autonoma), si rivelerebbe, alla lunga, una premessa dai piedi di sabbia, non umanizzante. Tagliare radici al rapporto vitale-solidale-collaborativo con e verso gli altri popoli, equivarrebbe a recidere il ceppo portante della stessa vita-identità umana, poggiata su un'intrinseca realzionalità (unica dimensione capace di farci crescere).

Non credo però sia il caso dei Veneti: non secondi a nessuno in quanto a generosità.

Tuttavia, aspirare ad una gestione autonoma, e - perché no? - ad un godimento più proprio* dell'economia prodotta con onesta efficienza, non è un'aspirazione illegittima, ma un diritto. Far passare un diritto per egoismo, equivarrebbe a sprezzare la verità e gli stessi diritti umani.

Non è egoista la scelta di quel popolo che vuol sganciarsi da soffocanti istanze fiscali rispondenti a intricate, controproducenti e sperperanti burocrazie; che vuol sganciarsi dal peso di una politica che succhia troppo e dà troppo poco; che vuol sganciarsi dagli egemonici giochi bancari; che vuol sganciarsi da un Governo che in piena crisi ha la sfacciataggine di condonare 98 miliardi a chi fomenta la patologia del gioco d'azzardo; che vuol sganciarsi dall'esosità di certe spese ambigue (dettate da Ragion di Stato), che mai verranno ridotte significativamente!

Non è egoista la scelta di quel popolo che voglia svincolarsi da cotanti-umilianti (e immorali) servaggi, per dipingere la propria esistenza in maniera più semplice, più umana, più variopinta, più soddisfacente, più altruista, più conforme a se stesso.

Non è egoista quel popolo che scelga di non più alimentare i satolli ventri dei burocrati di Stato, semplicemente perché sente il dovere morale di orientare il proprio altruismo (i profitti del proprio sudore) nel modo più confacente, mirando a realtà umane veramente necessitate: dentro e fuori casa.

Non è egoista la scelta di quel popolo che, quand'anche fosse unito in buoni vincoli ad un'Entità nazionale mediamente sana e vantaggiosa, decida di dar vita ad un percorso proprio, autonomo, semplicemente per aver maturato motivazioni fondanti tale percorso.

Quanto affermato reca in se' una non secondaria conclusione: il processo autodeterminante di un popolo, se genuinamente tale, ridonda sempre in arricchimento (umano, culturale, democratico, politico, economico) degli altri popoli della terra (inclusa la stessa Nazione da cui ci si separa). Perché? Perché fa da stimolo al buon uso della libertà, che è tale solo quando un popolo può esprimere se stesso in pienezza, senza vincoli esterni. Quando ciò accade: ci si arricchisce e si arricchisce, in tutti i sensi. Quando accade il contrario: l'umanità tutta decresce, s'impoverisce in tutti i sensi.

Non sono quindi i processi omologanti che danno vita, colore, armonia e vera fratellanza all'umanità (con buona pace di quei sedicenti politici, intellettuali ed economisti che persistono - causando non pochi danni -  in tale prassi). La storia ce lo ha mostrato più volte: le omologazioni forzate, supportate dai metodi assolutisti che in passato costruirono certe nazioni, causarono lo sterminio (culturale-fisico) di molte minoranze (a volte di... maggioranze), ricche di culture oggi disciolte.

Ma il passato è passato, lo sappiamo, e va contestualizzato. Piangerlo col senno del poi, coi parametri attuali, non avrebbe senso e non sortirebbe efficacia alcuna (anche se, a onor del vero, voci profetiche - di solito isolate e silenziate -  mai mancarono, in ogni epoca).

Nostro dovere, oggi, è cercare di rimettere le cose al proprio posto nel modo più consono, con tanta buona volontà e senso estetico! Come? Non certo mandando indietro la pellicola, ma creando nuove sintesi che sappiano riscattare ed integrare, attraverso un processo creativo e arricchito dall'oggi, quel limo culturale del passato capace di dare humus alla vita presente.  In questo modo si preserva la tradizione di un popolo: uno scaffale colmo di sapienza inestimabile, parte immancabile nella biblioteca dell'Umanità.

Oggi, alcune minoranze etniche sono riuscite a superare i preteriti stupri identitari, trovando sintonia con la nazione d'appartenenza, senza dover rinunciare alla propria specificità culturale-linguistica-economica. Altre non ce l'hanno fatta, riducendosi a umilianti sottomissioni culturali. Altre ancora, come già sopra, pur avendo trovato sintonia, rispetto e benessere nella nazione d'appartenenza, stanno ritenendo opportuno, per motivi propri, di dar vita ad un percorso altro.

Come cittadini di un presente basato sui processi democratici, abbiamo il dovere di rispettare quelle comunità che protendono verso il riapproprio di ciò di cui vennero private in un "passato che appartiene al passato". È la vita stessa, la sua naturale protensione alla superazione, che lo richiede.

                                                                                                Ignazio Cuncu Piano


* Si include il godimento che deriva dal gestire l'altruismo con criteri propri, mettendo la propria economia a servizio di chi ne abbia bisogno, per favorirne la crescita in dignità