domenica 30 giugno 2013

LETTERA APERTA AL SINDACO DI ASSEMINI, MARIO PUDDU.

Gentile signor Sindaco,

mi sia permesso, in apertura, porgere a Lei e alla sua Giunta, i migliori auguri per il mandato di servizio che la Comunità Asseminese vi ha di recente affidato e confidato. Auspico che il giovane (in tutti i sensi) entusiasmo e i numerosi progetti che sostengono la vostra azione politica, sappiano onorare appieno la nobile etimologia di questo termine.

Motiva queste righe il desiderio di condividerle un argomento tanto perennemente discusso in Sardegna, quanto mai effettivamente messo in atto: l'insegnamento della lingua sarda (d'ora in poi LS) nella scuola. E nel caso specifico, la possibilità di realizzare tale insegnamento nelle scuole di Assemini (e - perché no? - promuovendo anche eventuali corsi per adulti) .

Mi pare non aver letto questa voce nel vostro (peraltro intenso e dettagliato) programma.

Come saprà, alcuni paesi hanno da qualche tempo preso iniziative in proposito. Penso a Villaspeciosa, San Sperate, Pimentel, Santadi, Isili (persino nella materna), alla vicina Elmas; o ai diversi casi di maestre/i che “motu proprio” portano avanti consistenti, divertenti ed efficaci corsi, assimilati con fertile entusiasmo dagli alunni.

Personalmente considero di somma importanza che la salvaguardia della “LS” sia inclusa nei progetti dei nostri Comuni. Non solo perché si tratta di una lingua (d'ora in poi L) a tutti gli effetti (con le derivanti culturali che ne conseguono), ma perché è la nostra L, la L dei Sardi (assieme alla variante logudorese, al gallurese, al tabarchino, al catalano, a s'arromanisca e all'italiano) , usata ininterrottamente dalle nostre Genti da circa duemila anni. E, nondimeno, perché è la L che al meglio sa interpretare le nostre radici, il nostro specifico humus.

Posso immaginare come la presente proposta si inserisca in una densa prospettiva di lavoro, per Lei e la sua Giunta, aggravata da urgenze di importanti dimensioni. Forse per questo ed altri motivi, annoverare nell'immediata azione di governo un'iniziativa del genere, potrebbe apparire non prioritario, non opportuno; una specie di lezioso e obsoleto orpello in mezzo ad un mare di ben più concrete e impellenti necessità.

Eppure, a mio avviso, i benefici psicologici (quindi pratici) che tale insegnamento susciterebbe negli alunni, apporterebbero ad una maggiore presa di coscienza circa quelle urgenti concretezze cui sopra. L'approccio che un popolo o una comunità possiede con gli aspetti della propria cultura, infatti, si riverbera - nel bene e ne male - sulle realizzazioni quotidiane, sulle scelte economiche, sulla gestione del territorio.

La L ha molto a che vedere con tutto ciò. Mi permetta qualche esempio.

Nell'ambito nazionale italiano, le comunità facenti parte delle cosiddette “Minoranze Linguistiche”, vivono tale condizione come una ricchezza, un valore aggiunto da proteggere e perpetuare. Penso alle etnie di L albanese e greca, alle Valli Ladine, ai Valdostani, agli Altoatesini, alle Comunità Cimbre, ai Friulani e alla strenua difesa del loro “furlan”(la lingua friulana). Non stiamo certo parlando di società perfette, ma di gruppi umani che hanno una chiara percezione di come la propria specificità sia cresciuta in totale simbiosi con il territorio di cui sono e fanno parte e verso il quale riversano minuziose cure, valorizzandone addirittura quegli aspetti che, in apparenza, potrebbero sembrare privi di qualsiasi utilità. In genere stiamo parlando di Genti che ben si guardano dal mettere il proprio patrimonio geografico nelle mani di certi opportunisti venditori di paccottiglie, come purtroppo accadde e accade da noi.

È infatti plausibile ipotizzare che la nostra poca autostima linguistica/culturale, abbia influito non poco sulla scarsa valorizzazione e custodia del territorio, dando fianco scoperto a soprusi interni ed esterni, dimostrando remissività di fronte a nefaste iniziative economiche calate dall'alto.

Leggo in proposito sul vostro programma un rigoroso e capillare piano volto alla valorizzazione, riorganizzazione e bonifica del vasto e martoriato suolo asseminese; territorio che accusa a chiare note due patologie in cui languisce la Sardegna tutta: l'abbandono delle campagne (talvolta ridotte a pattume) ed il fallimento della Chimica. Ben sappiamo come il “Piano di Rinascita” del secondo dopoguerra abbia imposto un modello d'industria inadatto (per tipologia e dimensioni) agli ecosistemi naturali, sociali ed economici delle nostre comunità. Il precoce e in certo modo preannunciato fallimento di quella stessa industria, il deturpamento di intere aree (si pensi agli ottimi appezzamenti agricoli nella zona di Macchiareddu, disordinatamente frammentati da agglomerati industriali in parte dismessi) e l'abbandono della vocazione agricola, hanno privato il nostro territorio sia di una fiorente agricoltura che di un più simbiotico tessuto industriale.

Leggo, sempre nel vostro programma, una speciale attenzione alla salvaguardia delle tradizioni paesane (arte della ceramica...), dei siti archeologici, tesa a riscattare il percorso storico di questi ed altri aspetti della nostra comunità, per poterne ottimizzare le conoscenze, quindi i benefici umani e - mi sia dato interpretare - gli eventuali profitti economici (la cultura sanamente vissuta è anche fonte di ricchezza).

Quest'aspetto, in totale sintonia colla riscoperta del suolo quale “parte di noi stessi e generosa fonte di sostentamento” , credo possa offrire un valido contributo alla ricostruzione di una mentalità (cultura) di salvaguardia della terra (non è un caso che il termine “cultura”, affondi la sua etimologia nella terra).

Potrà funzionare questo felice binomio - cultura/territorio - per la nostra comunità? Il vostro programma dice di sì. Personalmente ne son più che certo.

È a questo punto che reinserirei il ruolo della LS. Ogni L - come già espresso - è la fedele interprete della cultura con la quale essa è nata. La LS è quindi il vettore più accreditato per riscattare, raccontare e interpretare la cultura asseminese in tutte le sue ricche poliedricità. Per questo motivo, saggiamente offerta agli alunni, potrebbe contribuire non poco a ritessere quel particolare amore verso il territorio, così tipico delle comunità bilingui.

Urge però rovesciare la frittata...

… perché - anche se qualcosina sta timidamente cambiando - ancora noi Sardi percepiamo come un aspetto di non rilevante importanza quel bilinguismo che altri vivono senza complessi, alla luce del sole e con ampio giovamento.

Mostra di tale disinteresse è l'evanescente impegno – su questo versante – offerto dalle varie Giunte Regionali susseguitesi nella storia dell'Autonomia. A onor del vero, mi consta di un certo progetto FILS (Formazione Insegnanti LS) avviato dalla Regione nel trascorso 2011, della cui evoluzione non ho conoscenza (se tale processo fosse seriamente e solidamente avviato e organicamente filtrato nei Comuni, sarei felicissimo di aprire una porta aperta!).

È da convenire che tale indifferenza linguistica sia stata indotta, in questi ultimi più o meno 100 anni della nostra storia, da alcuni interessati di turno, i quali ci hanno suggerito che la LS era poco più che un socioletto “ po pastoris, massaius, bastraxus e inniorantis, là” (per pastori, contadini, scaricatori di porto e ignoranti, per intenderci) o tuttalpiù un pittoresco ma obsoleto arredo folkloristico. E noi ci abbiamo creduto.

E così la nostra L venne surclassata, ridotta a “sa lingua de su famini [o “sa limba dae su famine”]” (la lingua della fame, dell'arretratezza). Senza forse pensare che anche gli Inglesi, i Russi, gli Spagnoli, i Portoghesi, i Tedeschi, gli Italiani e i Francesi, i Belgi e gli Olandesi... patirono fame e arretratezza (e la patirono eccome!) continuando a parlare le loro rispettive L!

Chi direbbe invece, che in ragion di tali inattendibili nozioni, stiamo rischiando di far estinguere una L che per secoli ha veicolato una storia e una cultura per niente secondarie nell'ambito della geografia politica e culturale europea?

Certo, è vero: non è comune che qualcuno ci racconti gli aspetti salienti del nostro trascorso. Di come, verbigrazia, nei regni (sardi), tra i più prestigiosi e all'avanguardia del Medio Evo (i Giudicati, 900c./1420) - con i quali tutta l'aristocrazia europea ambiva relazionarsi e imparentarsi (cfr. F.C. Casula, Breve storia di Sardegna, Delfino editore, pag.113) - la L ufficiale fosse la LS (usata anche in atti cancellereschi internazionali di notevole importanza nella storia medioevale). O di come la “Carta de Logu” ( importante opera legislativa promulgata dal grande giudice Mariano IV, nel 1365, e aggiornata dalla figlia Eleonora), in cui già si contemplava la difesa della donna e dei minori, fosse integralmente redatta in LS. O di come la LS sia tutt'ora presente nelle grammatiche di qualche Nazione estera (con tanto di citazioni pratiche) e di quanto sia accreditata presso i linguisti in ambito internazionale.

Possiamo privare le nostre giovani generazioni di un così ingente patrimonio? Possiamo privare i nostri alunni di cotanta coscienza... di se stessi?

Per questi e altri motivi, la salvaguardia della L credo debba essere, per noi tutti, un piacevole dovere. La sua possibile estinzione (il conto alla rovescia generazionale è agli sgoccioli) equivarrebbe ad un'enorme sconfitta (impoverimento) culturale, ad una vera e propria menomazione del Patrimonio Linguistico dell'Umanità.

Le attuali e pur valide conoscenze scientifiche e tecnologiche (con le quali la LS può benissimo convivere) non potranno mai sopperire al vuoto della mancata trasmissione di un densissimo patrimonio storico/linguistico, tra i più peculiari nel bacino del Mediterraneo.

Nei termini di una concreta azione didattica, anche per gli alunni di Assemini si porrebbe l'eterna questione, secondo alcuni quasi insormontabile: quale sardo insegnare? La risposta mi pare più semplice di quanto si possa immaginare: la LS nella variante campidanese-asseminese (i manuali di grammatica, morfologia e sintassi sono comuni a tutte le varianti paesane di LS campidanese).

Il fine didattico dell'insegnamento della LS, oltre alla capacitazione pratica degli alunni, dovrebbe mirare a stimolare in essi una vera e propria passione per la L, quale inestimabile ricchezza della comunità di appartenenza. Anche la constatazione della presenza della variante logudorese dovrebbe essere percepita (dagli alunni) come ulteriore ricchezza. Niente toglie che nei piani di studio, si contempli un'infarinatura di LS logudorese, molto più simile (quindi vicina e comprensibile) alla LS campidanese di quanto vogliano far credere infondati (a noi noti) luoghi comuni. Se mio padre (agricoltore) col suo sardo campidanese riusciva a conversare coi pastori barbaricini, molto di più potranno le giovani generazioni con la loro spiccata propensione all'interlocuzione (mi sia permesso pensare, fra il serio e il faceto, che i nostri giovani, con la chat, c'impiegherebbero pochi mesi per accomunare in una sorta di koinè le nostre varianti linguistiche!)

Una nozione che tutti possediamo (ma anche su questo punto molti Sardi si ritengono un'eccezione!) è che la conoscenza naturale di più lingue ne predispone l'apprendimento di altre. In genere molti giovani che oggi s'interessano alla LS, sono conoscitori di altre L (un particolare da non sottovalutare). È recentissima la notizia dell'alunno cagliaritano di 13 anni, Riccardo Laconi, che ha sostenuto l'esame di terza media in LS. Riccardo, con la tipica semplicità dei ragazzini intelligenti, ammette di conoscere, oltre che la LS: l'inglese, l'italiano, il francese e un po' di tedesco. Mi vien poi da pensare al principe Alberto di Monaco, che pur conoscendo diverse lingue, non disdegna di usare il monegasco per rivolgersi ai cittadini del “Principatu de Mùnegu” ( Principato di Monaco in L monegasca). Come del resto fa Dario, 25enne maestro di sci friulano, il quale sui campi da sci dialoga coi colleghi in “marilenghe”(in madrelingua, cioè in friulano), ma può dare lezioni in inglese, italiano, francese, tedesco, russo e sloveno. La nostra stessa storia ci viene in aiuto, ricordandoci come il già citato giudice arborense Mariano IV (+ 1376) conoscesse, oltre alle varianti della LS (arborense, calaritana, logudorese e gallurese): il latino, il volgare toscano (l'italiano), il catalano e il castigliano. Tale apertura linguistica (notevole per quei tempi) gli permetteva una diretta corrispondenza “con le maggiori personalità del tempo” (ivi, pag. 157).

Vado alla conclusione.

Oggi più che mai i nostri giovani hanno bisogno di proposte culturali profonde e motivanti, capaci di coinvolgere le loro propulsive energie. Sono personalmente convinto che, accanto alle altre discipline scolastiche, l'insegnamento della LS e l'interessamento sulle altre L parlate dell'Isola (segno di un ricca e multiforme concrezione storica/linguistica) possa favorire quella sana autostima culturale capace di agevolare – e non di “ostacolare”, come spesso si è pensato” - un'apertura più serena, non complessata e non scimmiottante, ma “a testa alta”, verso altre identità.

Un progetto ambizioso? Non so. Forse sì. O forse no. Forse semplicemente... normale, dovuto. Lo definirei piuttosto: progetto “di entusiasmanti novità per una più cosciente dignità”; a mio avviso sintonico col vostro altrettanto entusiastico e giovanilmente innovativo Programma per Assemini.


Riceva i miei più cordiali saluti: Ignazio Cuncu Piano.