Gentile signor Sindaco,
mi sia permesso, in apertura, porgere a Lei e alla sua Giunta, i
migliori auguri per il mandato di servizio che la Comunità
Asseminese vi ha di recente affidato e confidato. Auspico che il
giovane (in tutti i sensi) entusiasmo e i numerosi progetti che
sostengono la vostra azione politica, sappiano onorare appieno
la nobile etimologia di questo termine.
Motiva queste righe il desiderio di condividerle un argomento tanto
perennemente discusso in Sardegna, quanto mai effettivamente messo in
atto: l'insegnamento della lingua
sarda (d'ora in poi LS) nella scuola. E nel caso specifico, la
possibilità di realizzare tale insegnamento nelle scuole di Assemini
(e - perché no? - promuovendo anche eventuali corsi per adulti) .
Mi pare non aver letto questa voce nel vostro (peraltro intenso e
dettagliato) programma.
Come saprà, alcuni paesi hanno da qualche tempo preso iniziative in
proposito. Penso a Villaspeciosa, San Sperate, Pimentel, Santadi,
Isili (persino nella materna), alla vicina Elmas; o ai diversi casi
di maestre/i che “motu proprio” portano avanti consistenti,
divertenti ed efficaci corsi, assimilati con fertile entusiasmo dagli
alunni.
Personalmente considero di somma importanza che la salvaguardia della
“LS” sia inclusa nei progetti dei nostri Comuni. Non solo perché
si tratta di una lingua (d'ora in poi L) a tutti gli effetti (con le
derivanti culturali che ne conseguono), ma perché è la nostra L, la
L dei Sardi (assieme alla variante logudorese, al gallurese, al
tabarchino, al catalano, a s'arromanisca e all'italiano) , usata
ininterrottamente dalle nostre Genti da circa duemila anni. E,
nondimeno, perché è la L che al
meglio sa interpretare le nostre radici, il
nostro specifico humus.
Posso immaginare come la presente proposta si inserisca in una densa
prospettiva di lavoro, per Lei e la sua Giunta, aggravata da urgenze
di importanti dimensioni. Forse per questo ed altri motivi,
annoverare nell'immediata azione di governo un'iniziativa del genere,
potrebbe apparire non prioritario, non opportuno; una specie di
lezioso e obsoleto orpello in mezzo ad un mare di ben più concrete e
impellenti necessità.
Eppure, a mio avviso, i benefici psicologici (quindi pratici) che
tale insegnamento susciterebbe negli alunni, apporterebbero ad una
maggiore presa di coscienza circa quelle urgenti concretezze cui
sopra. L'approccio che un popolo o una comunità possiede con gli
aspetti della propria cultura, infatti, si riverbera - nel bene e ne
male - sulle realizzazioni quotidiane, sulle scelte economiche,
sulla gestione del territorio.
La L ha molto a che vedere con tutto ciò. Mi permetta qualche
esempio.
Nell'ambito nazionale italiano, le comunità facenti parte delle
cosiddette “Minoranze Linguistiche”, vivono tale
condizione come una ricchezza, un valore aggiunto da proteggere e
perpetuare. Penso alle etnie di L albanese e greca, alle Valli
Ladine, ai Valdostani, agli Altoatesini, alle Comunità Cimbre, ai
Friulani e alla strenua difesa del loro “furlan”(la lingua
friulana). Non stiamo certo parlando di società perfette, ma di
gruppi umani che hanno una chiara percezione di come la propria
specificità sia cresciuta in totale simbiosi con il territorio di
cui sono e fanno parte e verso il quale riversano minuziose cure,
valorizzandone addirittura quegli aspetti che, in apparenza,
potrebbero sembrare privi di qualsiasi utilità. In genere stiamo
parlando di Genti che ben si guardano dal mettere il proprio
patrimonio geografico nelle mani di certi opportunisti venditori di
paccottiglie, come purtroppo accadde e accade da noi.
È infatti plausibile ipotizzare che la
nostra poca autostima linguistica/culturale, abbia influito non poco
sulla scarsa valorizzazione e custodia del territorio, dando fianco
scoperto a soprusi interni ed esterni, dimostrando remissività di
fronte a nefaste iniziative economiche calate dall'alto.
Leggo in proposito sul vostro programma un rigoroso e capillare piano
volto alla valorizzazione, riorganizzazione e bonifica del vasto e
martoriato suolo asseminese; territorio che accusa a chiare note due
patologie in cui languisce la Sardegna tutta: l'abbandono delle
campagne (talvolta ridotte a pattume) ed il fallimento della Chimica.
Ben sappiamo come il “Piano di Rinascita” del secondo
dopoguerra abbia imposto un modello d'industria inadatto (per
tipologia e dimensioni) agli ecosistemi naturali, sociali ed
economici delle nostre comunità. Il precoce e in certo modo
preannunciato fallimento di quella stessa industria, il deturpamento
di intere aree (si pensi agli ottimi appezzamenti agricoli nella
zona di Macchiareddu, disordinatamente frammentati da agglomerati
industriali in parte dismessi) e l'abbandono della vocazione
agricola, hanno privato il nostro territorio sia di una fiorente
agricoltura che di un più simbiotico tessuto industriale.
Leggo, sempre nel vostro programma, una speciale attenzione alla
salvaguardia delle tradizioni paesane (arte della ceramica...), dei
siti archeologici, tesa a riscattare il percorso storico di questi ed
altri aspetti della nostra comunità, per poterne ottimizzare le
conoscenze, quindi i benefici umani e - mi sia dato interpretare -
gli eventuali profitti economici (la cultura sanamente vissuta è
anche fonte di ricchezza).
Quest'aspetto, in totale sintonia colla riscoperta del suolo quale
“parte di noi stessi e generosa fonte di sostentamento” ,
credo possa offrire un valido contributo alla ricostruzione di una
mentalità (cultura) di salvaguardia della terra (non è
un caso che il termine “cultura”, affondi la sua
etimologia nella terra).
Potrà funzionare questo felice binomio - cultura/territorio - per la
nostra comunità? Il vostro programma dice di sì. Personalmente ne
son più che certo.
È a questo punto che reinserirei il ruolo
della LS. Ogni L - come già espresso - è la fedele interprete della
cultura con la quale essa è nata. La LS è quindi il vettore più
accreditato per riscattare, raccontare e interpretare la cultura
asseminese in tutte le sue ricche poliedricità. Per questo motivo,
saggiamente offerta agli alunni, potrebbe contribuire non poco a
ritessere quel particolare amore verso il territorio,
così tipico delle comunità bilingui.
Urge però rovesciare la frittata...
… perché - anche se qualcosina sta timidamente cambiando - ancora
noi Sardi percepiamo come un aspetto di non rilevante importanza quel
bilinguismo che altri vivono senza complessi, alla luce del sole e
con ampio giovamento.
Mostra di tale disinteresse è l'evanescente impegno – su questo
versante – offerto dalle varie Giunte Regionali susseguitesi nella
storia dell'Autonomia. A onor del vero, mi consta di un certo
progetto FILS (Formazione Insegnanti LS) avviato dalla Regione nel
trascorso 2011, della cui evoluzione non ho conoscenza (se tale
processo fosse seriamente
e solidamente
avviato e organicamente filtrato nei Comuni, sarei felicissimo
di aprire una porta aperta!).
È da convenire che tale indifferenza
linguistica sia stata indotta, in questi ultimi più o meno 100 anni
della nostra storia, da alcuni interessati di turno, i quali ci
hanno suggerito che la LS era poco più che un socioletto “ po
pastoris, massaius, bastraxus e inniorantis, là” (per pastori,
contadini, scaricatori di porto e ignoranti, per intenderci) o
tuttalpiù un pittoresco ma obsoleto arredo folkloristico. E
noi ci abbiamo creduto.
E così la nostra L venne surclassata, ridotta a “sa lingua de
su famini [o “sa limba dae su famine”]” (la
lingua della fame, dell'arretratezza). Senza forse pensare che anche
gli Inglesi, i Russi, gli Spagnoli, i Portoghesi, i Tedeschi, gli
Italiani e i Francesi, i Belgi e gli Olandesi... patirono fame e
arretratezza (e la patirono eccome!) continuando a parlare le loro
rispettive L!
Chi direbbe invece, che in ragion di tali inattendibili nozioni,
stiamo rischiando di far estinguere una L che per secoli ha
veicolato una storia e una cultura per niente secondarie nell'ambito
della geografia politica e culturale europea?
Certo, è vero: non è comune che qualcuno ci racconti gli aspetti
salienti del nostro trascorso. Di come, verbigrazia, nei regni
(sardi), tra i più prestigiosi e all'avanguardia del Medio Evo (i
Giudicati, 900c./1420) - con i quali tutta l'aristocrazia europea
ambiva relazionarsi e imparentarsi (cfr. F.C. Casula, Breve storia
di Sardegna, Delfino editore, pag.113) - la L ufficiale fosse la
LS (usata anche in atti cancellereschi internazionali di notevole
importanza nella storia medioevale). O di come la “Carta de
Logu” ( importante opera legislativa promulgata dal grande
giudice Mariano IV, nel 1365, e aggiornata dalla figlia Eleonora), in
cui già si contemplava la difesa della donna e dei minori, fosse
integralmente redatta in LS. O di come la LS sia tutt'ora presente
nelle grammatiche di qualche Nazione estera (con tanto di citazioni
pratiche) e di quanto sia accreditata presso i linguisti in ambito
internazionale.
Possiamo privare le nostre giovani generazioni di un così ingente
patrimonio? Possiamo privare i nostri alunni di cotanta coscienza...
di se stessi?
Per questi e altri motivi, la salvaguardia della L credo debba
essere, per noi tutti, un piacevole dovere. La sua possibile
estinzione (il conto alla rovescia generazionale è agli sgoccioli)
equivarrebbe ad un'enorme sconfitta (impoverimento) culturale, ad una
vera e propria menomazione del Patrimonio Linguistico dell'Umanità.
Le attuali e pur valide conoscenze scientifiche e tecnologiche (con
le quali la LS può benissimo convivere) non potranno mai sopperire
al vuoto della mancata trasmissione di un densissimo patrimonio
storico/linguistico, tra i più peculiari nel bacino del
Mediterraneo.
Nei termini di una concreta azione didattica, anche per gli alunni di
Assemini si porrebbe l'eterna questione, secondo alcuni quasi
insormontabile: quale sardo insegnare? La risposta mi pare più
semplice di quanto si possa immaginare: la LS nella variante
campidanese-asseminese (i manuali di grammatica, morfologia e
sintassi sono comuni a tutte le varianti paesane di LS campidanese).
Il fine didattico dell'insegnamento della LS, oltre alla
capacitazione pratica degli alunni, dovrebbe mirare a stimolare in
essi una vera e propria passione per la L, quale inestimabile
ricchezza della comunità di appartenenza. Anche la constatazione
della presenza della variante logudorese dovrebbe essere percepita
(dagli alunni) come ulteriore ricchezza. Niente toglie che nei piani
di studio, si contempli un'infarinatura di LS logudorese, molto più
simile (quindi vicina e comprensibile) alla LS campidanese di quanto
vogliano far credere infondati (a noi noti) luoghi comuni. Se mio
padre (agricoltore) col suo sardo campidanese riusciva a conversare
coi pastori barbaricini, molto di più potranno le giovani
generazioni con la loro spiccata propensione all'interlocuzione (mi
sia permesso pensare, fra il serio e il faceto, che i nostri giovani,
con la chat, c'impiegherebbero pochi mesi per accomunare in
una sorta di koinè le nostre varianti linguistiche!)
Una nozione che tutti possediamo (ma anche su questo punto molti
Sardi si ritengono un'eccezione!) è che la conoscenza naturale di
più lingue ne predispone l'apprendimento di altre. In genere molti
giovani che oggi s'interessano alla LS, sono conoscitori di altre L
(un particolare da non sottovalutare). È
recentissima la notizia dell'alunno cagliaritano di 13 anni,
Riccardo Laconi, che ha sostenuto l'esame di terza media in LS.
Riccardo, con la tipica semplicità dei ragazzini intelligenti,
ammette di conoscere, oltre che la LS: l'inglese, l'italiano, il
francese e un po' di tedesco. Mi vien poi da pensare al principe
Alberto di Monaco, che pur conoscendo diverse lingue, non disdegna di
usare il monegasco per rivolgersi ai cittadini del “Principatu
de Mùnegu” ( Principato di Monaco in L monegasca). Come del
resto fa Dario, 25enne maestro di sci friulano, il quale sui campi da
sci dialoga coi colleghi in “marilenghe”(in madrelingua,
cioè in friulano), ma può dare lezioni in inglese, italiano,
francese, tedesco, russo e sloveno. La nostra stessa storia ci viene
in aiuto, ricordandoci come il già citato giudice arborense Mariano
IV (+ 1376) conoscesse, oltre alle varianti della LS (arborense,
calaritana, logudorese e gallurese): il latino, il volgare toscano
(l'italiano), il catalano e il castigliano. Tale apertura linguistica
(notevole per quei tempi) gli permetteva una diretta corrispondenza
“con le maggiori personalità del tempo” (ivi, pag. 157).
Vado alla conclusione.
Oggi più che mai i nostri giovani hanno bisogno di proposte
culturali profonde e motivanti, capaci di coinvolgere le loro
propulsive energie. Sono personalmente convinto che, accanto alle
altre discipline scolastiche, l'insegnamento della LS e
l'interessamento sulle altre L parlate dell'Isola (segno di un ricca
e multiforme concrezione storica/linguistica) possa favorire quella
sana autostima culturale capace di agevolare – e non di
“ostacolare”, come spesso si è pensato” - un'apertura più
serena, non complessata e non scimmiottante, ma “a testa alta”,
verso altre identità.
Un progetto ambizioso? Non so. Forse sì. O forse no. Forse
semplicemente... normale, dovuto. Lo definirei piuttosto: progetto
“di entusiasmanti novità per una più cosciente dignità”;
a mio avviso sintonico col vostro altrettanto entusiastico e
giovanilmente innovativo Programma per Assemini.
Riceva i miei più cordiali saluti: Ignazio Cuncu Piano.