Qualche giorno fa ho visto un interessante programma televisivo su alcune scuole friulane, dove s'insegna ai bambini l'autentico furlan (la lingua friulana); quello dei nonni, non annacquato da italianismi, per capirci. Che bello!
La mia mente è volata subito subito in Sardegna. Anche da noi, in alcuni asili e scuole primarie, si porta avanti questa coltissima e modernissima esperienza, alla quale, qualche mese fa, anche il TG2 ha dedicato un servizio.
Sì: imparare la "lingua materna fin dall'asilo", ripeto: è la scelta più... "cool" , più protesa verso un presente/futuro arricchente (in tutti i sensi) che possa fare il nostro Popolo.
Allo stesso modo, sono convinto che riparlare in sardo (o continuare a farlo, per chi non l'abbia mai dismesso) sia anche la forma più efficace per superare la crisi economica. Ma cosa c'entra la soluzione della crisi con un desiderio che alcuni interpretano come da... obsoleto romanticismo? C'entra eccome! Riappropriarsi della lingua significa riacquistare sano orgoglio verso la propria cultura (di cui la lingua è fedele interprete, privilegiato strumento veicolare), la quale incrementa il senso d'appartenenza verso le proprie genti, il territorio; quindi anche verso le proprie tradizioni economiche. Tutto ciò favorisce la creatività verso una discreta, oculata e intelligente economia (la sfrenata economia è, alla fin fine, una chimera che logora il territorio, la cultura, la felicità... la vita tutta).
Se ci facciamo caso, una fra le cause (forse la maggiore) della crisi economica sarda (crisi già esistente molto, ma molto prima della... crisi!), radica proprio nella frattura indotta (nel secondo dopoguerra) tra l'economia tradizionale di micro-medie dimensioni, e quella pseudo moderna macrodimensionata, totalmente non simbiotica alle tradizioni e alla geografia dell'Isola, quindi devastante in tutti i sensi. Perché, ci fa bene ribadirlo: l'economia è parte della cultura. Staccare quest'imporante aspetto antropologico (l'economia, per l'appunto) dal resto dell'imbastitura culturale di un popolo, significa farlo diventare un pericoloso masso rotolante.
Non è casuale che il Friuli - giusto per stare alla stessa analogia - abbia un'economia più che dignitosa, e malgrado tutto resistente alla crisi attuale, proprio perché sostenuta da una solida ed efficace sinergia fra tradizione e innovazione.
Se ci facciamo caso, una fra le cause (forse la maggiore) della crisi economica sarda (crisi già esistente molto, ma molto prima della... crisi!), radica proprio nella frattura indotta (nel secondo dopoguerra) tra l'economia tradizionale di micro-medie dimensioni, e quella pseudo moderna macrodimensionata, totalmente non simbiotica alle tradizioni e alla geografia dell'Isola, quindi devastante in tutti i sensi. Perché, ci fa bene ribadirlo: l'economia è parte della cultura. Staccare quest'imporante aspetto antropologico (l'economia, per l'appunto) dal resto dell'imbastitura culturale di un popolo, significa farlo diventare un pericoloso masso rotolante.
Non è casuale che il Friuli - giusto per stare alla stessa analogia - abbia un'economia più che dignitosa, e malgrado tutto resistente alla crisi attuale, proprio perché sostenuta da una solida ed efficace sinergia fra tradizione e innovazione.
Quindi rivolgiamoci fieri alla lingua e proclamiamo senza tentennamenti di sorta: " A chentos e prus sa limba sadra [lunga vita alla lingua sarda]!". Lingua... propultrice di positività d'animo; lingua... propultrice del superamento di tanti piccoli e grandi problemi.
E le altre lingue?! Niente paura! I giovani che studiano seriamente il sardo, sono in media quelli che sanno più lingue. Penso, ad esempio, a Riccardo Laconi, lo studente che nel 2013 sostenne l'esame (di terza media) in sardo (col massimo dei voti), portando come materia principale: la bioedilizia (ov'erano incluse: tecniche vecchie e nuove della costruzione in mattoni crudi) e lo sviluppo biosostenibile (da notare - guarda caso! - la relazione: lingua, ambiente, economia). Quest'adolescente che in tutta normalità definisce il sardo come sua lingua madre, parla: l'italiano, l'inglese, il francese e sta imparando il tedesco.
Mah, che strano: com'è possibile che la lingua sarda predisponga ad altre lingue?! Ma non c'avevano detto che...?!
Forse di strano non c'è niente. Credo invece si tratti di una normale positiva reazione a catena, della serie: "Il bello invoglia al bello". La valorizzazione della propria cultura (e lingua) è la "base sana" che predispone sentimenti, mente e volontà al desiderio di conoscere e valorizzare anche quelle di altri popoli.
Con buona pace di quegli pseudo-intellettuali che per decenni ci hanno fatto credere che parlare in sardo ci precludeva l'apertura verso l'alterità linguistica, culturale ed economica.
Mah, che strano: com'è possibile che la lingua sarda predisponga ad altre lingue?! Ma non c'avevano detto che...?!
Forse di strano non c'è niente. Credo invece si tratti di una normale positiva reazione a catena, della serie: "Il bello invoglia al bello". La valorizzazione della propria cultura (e lingua) è la "base sana" che predispone sentimenti, mente e volontà al desiderio di conoscere e valorizzare anche quelle di altri popoli.
Con buona pace di quegli pseudo-intellettuali che per decenni ci hanno fatto credere che parlare in sardo ci precludeva l'apertura verso l'alterità linguistica, culturale ed economica.
Ignazio Cuncu Piano.