martedì 25 novembre 2014

PIÙ LINGUA SARDA: MENO CRISI

Qualche giorno fa ho visto un interessante programma televisivo su alcune scuole friulane, dove s'insegna ai bambini l'autentico furlan (la lingua friulana); quello dei nonni, non annacquato da italianismi, per capirci. Che bello!

La mia mente è volata subito subito in Sardegna. Anche da noi, in alcuni asili e scuole primarie, si porta avanti questa coltissima e modernissima esperienza, alla quale, qualche mese fa, anche il TG2 ha dedicato un servizio.

Sì: imparare la "lingua materna fin dall'asilo", ripeto: è la scelta più... "cool" , più protesa verso un presente/futuro arricchente (in tutti i sensi) che possa fare il nostro Popolo. 

Allo stesso modo, sono convinto che riparlare in sardo (o continuare a farlo, per chi non l'abbia mai dismesso) sia anche la forma più efficace per superare la crisi economica. Ma cosa c'entra la soluzione della crisi con un desiderio che alcuni interpretano come da... obsoleto romanticismo? C'entra eccome! Riappropriarsi della lingua significa riacquistare sano orgoglio verso la propria cultura (di cui la lingua è fedele interprete, privilegiato strumento veicolare), la quale incrementa il senso d'appartenenza verso le proprie genti, il territorio; quindi anche verso le proprie tradizioni economiche. Tutto ciò favorisce la creatività verso una discreta, oculata e intelligente economia (la sfrenata economia è, alla fin fine, una chimera che logora il territorio, la cultura, la felicità... la vita tutta). 

 Se ci facciamo caso, una fra le cause (forse la maggiore) della crisi economica sarda (crisi già esistente molto, ma molto prima della... crisi!), radica proprio nella frattura indotta (nel secondo dopoguerra) tra l'economia tradizionale di micro-medie dimensioni, e quella pseudo moderna macrodimensionata, totalmente non simbiotica alle tradizioni e alla geografia dell'Isola, quindi devastante in tutti i sensi. Perché, ci fa bene ribadirlo: l'economia è parte della cultura. Staccare quest'imporante aspetto antropologico (l'economia, per l'appunto) dal resto dell'imbastitura culturale di un popolo, significa farlo diventare un pericoloso masso rotolante.  

Non è casuale che il Friuli - giusto per stare alla stessa analogia - abbia un'economia più che dignitosa, e malgrado tutto resistente alla crisi attuale, proprio perché sostenuta da una solida ed efficace sinergia fra tradizione e innovazione.

Quindi rivolgiamoci fieri alla lingua e proclamiamo senza tentennamenti di sorta: " A chentos e prus sa limba sadra [lunga vita alla lingua sarda]!". Lingua... propultrice di positività d'animo; lingua... propultrice del superamento di tanti piccoli e grandi problemi.

E le altre lingue?! Niente paura! I giovani che studiano seriamente il sardo, sono in media quelli che sanno più lingue.  Penso, ad esempio, a Riccardo Laconi, lo studente che nel 2013 sostenne l'esame (di terza media) in sardo (col massimo dei voti), portando come materia principale: la bioedilizia (ov'erano incluse: tecniche vecchie e nuove della costruzione in mattoni crudi) e lo sviluppo biosostenibile (da notare - guarda caso! - la relazione: lingua, ambiente, economia). Quest'adolescente che in tutta normalità definisce il sardo come sua lingua madre, parla: l'italiano, l'inglese, il francese e sta imparando il tedesco.

Mah, che strano: com'è possibile che la lingua sarda predisponga ad altre lingue?! Ma non c'avevano detto che...?!

Forse di strano non c'è niente. Credo invece  si tratti di una normale positiva reazione a catena, della serie: "Il bello invoglia al bello". La valorizzazione della propria cultura (e lingua) è la "base sana" che predispone sentimenti, mente e volontà al desiderio di conoscere e valorizzare anche quelle di altri popoli. 

Con buona pace di quegli pseudo-intellettuali che per decenni ci hanno fatto credere che parlare in sardo ci precludeva l'apertura verso l'alterità linguistica, culturale ed economica.

                                                                                                 Ignazio Cuncu Piano.

sabato 22 novembre 2014

NAZIONE SARDA : UNA SCELTA AL PASSO COI TEMPI.

La cosa più avanguardistica, innovativa (in tutti i sensi, incluso quello economico) che possiamo fare noi Sardi in questo momento storico, è innescare un processo di maturazione/coscientizzazione propedeutico all'autodeterminazione. Far diventare la Sardegna una Nazione. Impossibile? No! Quel che han fatto etnie più piccole e deboli di noi non può essere per noi impossibile. Il resto sono scuse!

È chiaro che non si tratterà di una passeggiata: ma le cose belle e importanti sono, per natura, impegnative. Ammenoché non scegliamo di vivere nella mediocrità (che non è mai mediocrità, ma corsia preferenziale dell'infelicità). Per carità: è una scelta anche questa; la più comoda. Ma poi, se le cose andranno immancabilmente male: non lamentiamoci!


Inoltre, per farla ancor meno difficile del dovuto: questa scelta sarebbe nient'altro che l'attestazione politica di una fisionomia già insita nel nostro bagaglio storico/antropologico. 

Perché di fatto, la Sardegna: è una Nazione. Credo che tale percorso di maturazione sia, tra l'altro, l'unico modo per risolvere – noi stessi! - i problemi di... noi stessi. Ostinarsi a pensare che qualcuno, dall'alto di qualche colle romano o da chissà dove, possa risolvere i nostri problemi, è una pia illusione che ci sta lasciando letteralmente in mutande; senza carro e senza buoi. 

Molti cittadini (sardi) sono già protesi verso la meta dell'autodeterminazione; altri lo sono in potenza; forse aspettano la conformazione di un consistente Movimento o Partito (non ancora apparso, o apparso fugacemente, nel panorama isolano) capace di fare da collante: convogliando, valorizzando e sintetizzando le energie dei singoli. Un Movimento o Partito, capace di proporre nuove modalità di fare politica, alternative a quelle stantie e autoritaristiche (puerili) esistenti nell'attuale panorama italiano e sardo (visto che anche i gruppi indipendentisti, tendenzialmente, stanno usando - forse senza accorgersene - quelle medesime italiche modalità da essi stessi criticate)

Perché diventare nazione? Perché i sardi non saremo mai italiani, così come l'aceto non sarà mai olio, e la benzina non sarà mai acqua. Il desiderio (o la tendenza indotta) di confluire in un'identità italiana, farà (sta facendo) del popolo sardo un vero e proprio ibrido. E gli ibridi, lo sappiamo, sono infecondi, non generativi, vocati all'estinzione. La storia insegna. È un'affermazione che faccio senza polemica, con pieno rispetto per la nazione italiana, di cui semplicemente non siamo parte; e con la quale, paradossalmente, riusciremo ad avere un'interlocuzione arricchente solo quando potremo apprezzarla come realtà culturale/politica/economica "altra da noi", e non come sovrapposizione, entità egemone e frustrante, come accade nell'adesso storico. 

Sono convinto che nel futuro molto prossimo tante altre etnie (piccole ma ricche di cultura e di economia, come quella sarda) sostanzieranno l'avanguardistica scelta dell'autodeterminazione. Non aspettiamo sempre che siano gli altri a lanciar le mode! Iniziamocela da noi stessi! La Sardegna – contrariamente al falso pensare (ancora troppo) comune - enumera nei suoi trascorsi  molti gesti innovativi, all'avanguardia (giusto per fare un esempio: già prima che l'Impero Romano esistesse)

Facciamo onore alla nostra tradizione storica!

                                                                                                Ignazio Cuncu Piano