domenica 24 marzo 2013

... QUI SIBI NOMEN IMPOSUIT: FRANCISCUM.

Gli eventi che toccano la morte (o l'abdicazione) di un Papa e l'elezione del suo successore, riescono a catalizzare l'attenzione di molti. Vuoi per fede, per curiosità o per motivi d'altro genere, buona parte dell'umanità rimane in attesa, il fiato sospeso, gli occhi puntati sul responso di un esile comignolo installato sul tetto del più piccolo Stato del mondo.

Infatti il momento più elettrizzante, come sappiamo, è quello del fumo chiaro confermato dallo scampanare a festa..., poi il repentino afflusso alla piazza..., poi l'emozione della Diocesi romana (il Papa presiede la Chiesa Cattolica dell'orbe proprio perché vescovo di Roma) e delle diocesi di tutto il mondo... poi la figura bianca, la novità del nome, i primi gesti..., poi la corsa a rovistare il vissuto del neo eletto, onde innestare rapida personalità a quel volto ancor troppo anonimo. Eppoi i pronostici conclamati dai bene informati di turno (!) .

Anche questa volta è andata così. Sono appena passati undici giorni dall'elezione del Vescovo Francesco. Undici giorni già ricchi di gesti, simboli (come il nome, scelto in riferimento al Poverello d'Assisi), parole. Anche i dati anagrafici hanno avuto una profonda portata simbolica: un papa non europeo dopo tanti anni (oltre san san Pietro e sant'Evaristo, entrambi palestinesi, ci sono stati pontefici siriani e africani), primo latinoamericano (l'America Latina è il continente con più alto numero di cattolici, ma anche tra i più colpiti da agghiaccianti paradossi sociali). Al riguardo furono significative le parole del cardinal José Saraiva Martins, poco prima del conclave: “Considero che i tempi siano maturi per un papa non europeo”.

Francesco ha 76 anni. Qualche improvvisato profeta (di sventura!) ha già vaticinato: “Troppo avanti negli anni, un polmone fiaccato: un papa di transizione!”. Una valutazione affrettata e priva - oltre che di buon senso - di quella fede che sa affidare alla saggia oculatezza dello Spirito Santo la “gestione” di certe cose.

Occhio infatti ai papi di transizione! Se pensiamo che il beato Giovanni XXIII - anche lui appellato “di transizione” (fu eletto a 77 anni, nel 1958; morì nel '63) - rivoluzionò felicemente la Chiesa con l'impetuoso vento del Concilio Vaticano II, possiamo a buon diritto affermare che non c'è per forza bisogno di 20 anni di papato per realizzare un apostolato fertile, incisivo e innovativo. Ergo: il tempo che il buon Dio concederà al suo apostolo Francesco, sarà quanto basta per realizzare ciò che Egli tiene a cuore per la Chiesa e l'umanità del nostro eone.

Realizzare cosa? Non lo so, ed è meglio così. La creatività del Signore è imprevedibile, capace di sconvolgere tutti gli umani pronostici. E la vita di fede, paradossalmente, si rivela liberante e costruttiva solo quando vissuta in obbedienza a tale “imprevedibilità creativa” dello Spirito Santo.

Ad ogni modo e senza smentire quanto sopra, qualcosina si può ipotizzare (sì, ipotizzare; ché i pronostici sono roba di Dio) coniugando l'indole della persona eletta con le necessità storico-contingenti della Chiesa e dell'umanità, alla luce del cammino verso il pieno compimento del Regno. Il Signore di solito non bypassa l'elemento umano, ma opera all'interno e attraverso le caratteristiche che lo conformano: formazione, mentalità della persona prescelta, entroterra vitale ed esperienziale...
La stessa avventura biblica e tutta la storia sacra fino ai nostri giorni è un continuo agire di Dio attraverso la mediazione umana. Lo sguardo della fede sa cogliere la bontà dei piani di Dio per noi, anche in mezzo agli strafalcioni delle vicende storiche, includendo i peccati e la corruzione di alcuni membri del suo Popolo santo (la Chiesa).

Cosa farà il vescovo Francesco? Ripeto: non lo so. Senz'altro la volontà di Dio, ovvero: cose sane e sante, quindi giuste, belle e buone. Cosa raccontano al riguardo i suoi dati personali? Ci parlano di un Consacrato, Religioso della Compagnia di Gesù, imbevuto di spiritualità ignaziana (i gesuiti furono storicamente vicini al popolo e positivamente influenti, quindi spesso osteggiati dai centri di potere), vicino alle persone a partire dagli ultimi. Una solida esperienza pastorale: fu un vescovo “camminante”, di quelli che “visitano sempre” e sanno “sentire il polso” della propria gente (caratteristica immancabile, a mio avviso, in un vescovo); un uomo frugale. Un uomo coi piedi sui... marciapiedi e sulla fanghiglia delle bidonvilles della sua città ma al contempo capace di... volteggiare con disinvoltura (è appassionato di tango!) e determinata diplomazia in mezzo alle complicanze del potere. Anche questo è un talento, e “va usato” per restituire al potere la sua unica ragion d'essere: “ il servizio” (omelia di Francesco, 19 Marzo 2013).

A mio parere, sono queste le qualità richieste a chi deve stare al timone (della Barca di Pietro), oggi.

Le parole e i gesti (del Papa) esternati in questi giorni pare che avallino quanto sopra. Sono, del resto, la continuazione del suo stile di sempre che ne pervade, nella semplice coerenza di vita, anche il pontificato : una Chiesa povera, con e per i poveri, la rappacificazione col creato ridotto a pattume e la sua custodia, la misericordia/tenerezza di Dio verso ognuna delle sue creature, verso ogni uomo a presindere dalle sue prerogative morali (cf. Udienza con i Giornalisti, 16 Marzo 2013; omelia, 19 Marzo, 2013); l'evangelizzazione (l'unica ragion d'essere della Chiesa), la pace; vicinanza alla gente, senza arzigogolati e mondani cerimoniali di sorta.

Insomma: l'entusiasmo destato da Francesco è di buon auspicio, ed è bello che sia così!

Bisogna però stare attenti a non emarginare nel nebuloso ed ambiguo ambito della magia o della semi-divinizzazione anche la figura di un papa - un po' come si fa ancora (troppo) coi politici - , scaricando solo sulla sua persona cose che implicano l'impegno di tutti. Sappiamo bene come certe comode mitizzazioni - da noi innalzate - tendano a delegare a personaggi emergenti e/o più o meno carismatici (nella politica e nella religione) il compito di risolvere “brillantemente et istantaneamente” problemi che necessitano un'elaborazione paziente, graduale, in cui tutti – ognuno facente la sua parte – dobbiamo sentirci coinvolti. Perché, se è pur vero che chi ricopre ruoli di potere può (e deve) far molto, è ancor più vero che la corresponsabilità, l'impegno di tutti, è a dir poco indispensabile affinché i processi verso una maggiore  umanizzazione della vita (in tutti gli ambiti) siano effettivi.

Il Papa è pur sempre una persona, e non potrà mai fare ciò che ogni cristiano è chiamato a fare: vivere la propria adesione a Cristo con responsabilità adulta e portare la gioia di Gesù risorto (e le trasformazioni che questa porta in se') lì dove la realtà lo ha posto. Il “Sacerdozio Comune dei Fedeli” così ben presente nella Chiesa primitiva e vigorosamente riproposto dal Concilio (cf. Lumen Gentium, 10) - e così semplicemente messa in atto quando, nel suo primo affacciarsi all'orbe, Francesco ha chiesto la benedizione dal popolo -  ci ricorda come tutti i battezzati siano Corpo Mistico (di Cristo) con lo stesso spessore di appartenenza e responsabilità, innestata nella vocazione specifica che ognuno ha ricevuto in dono (cf. Christifideles Laici, 55-56). Nessun cristiano infatti è più o meno Chiesa dell'altro, papa incluso; tutti condividiamo la stessa gioia e onere di essere Pietre vive, direttamente unite alla Pietra angolare: Gesù (cf. Ef 2,20-22).

Alcuni giornalisti, dopo la già citata udienza, comprensibilmente euforizzati dal momento, si sono lasciati andare ad eclatanti pronostici: “Questo Papa ci stupirà!”. Non vorrei che tale frase sia venata da quell'ansia di sensazionalismi di cui tanto ha bisogno la nostra piattezza spirituale.

Da parte mia, desidero di tutto cuore che il nostro fratello vescovo (di Roma) Francesco, “servo dei servi di Dio”, possa promuovere con gioioso vigore l'unica rivoluzione di cui ha bisogno la Chiesa: vivere il Vangelo, cioè Gesù : “Sine Glossa” (Francesco d'Assisi).

È questo il più prezioso regalo che le nostre sorelle e fratelli non cristiani hanno il diritto di ricevere da noi battezzati.
                                                                                       Ignazio Cuncu Piano.

martedì 5 marzo 2013

LA STRAGE DEGLI INNOCENTI

Vista la prossimità del Conclave, si è riaccesa la polemica attorno all' arcivescovo emerito di Los Angeles. A quanto pare, questo prelato a suo tempo insabbiò casi di pedofilia consumati da presbiteri della sua ex-diocesi.

Non è mia intenzione disquisire sul porporato in questione (ancor meno giudicare le intenzioni del suo agire), ma cogliere l'occasione della polemica accennata per cercare di ri-cordare (riportare al cuore e alla mente) e rifletere su aspetti connessi al dramma della pedofilia, e in senso più ampio, sulla salvaguardia della dignità dei minori: bambini , adolescenti e - perché no? - giovani appena maggiorenni ( non è la carta d'identità che ci fa adulti).

Parto da un dato in apparenza fuori contesto. L'agire della nostra comunità umana è marcato da paradossi devastanti. La filosofia della Rivoluzione Industriale ha progettato - riuscendovi - una società di “adulti bisognosi di... consumare più del dovuto, in modo compulsivo”. Come? Facendo sì che (qui il paradosso) tali adulti permangano in uno stato adolescenziale. I bambini e gli adolescenti (quelli veri, cronologici) in questo “circo del profitto senza fondo” sono relegati in un duplice sub-ruolo: da una parte anch'essi oggetto di consumo; per il resto (insieme agli anziani)... piuttosto emarginati.

Una società che emargina e stupra i minori, inquadrandoli in selvaggi preventivi di compravendita.

Per il resto: c'è poco spazio per i sentimenti dei minori, la cui innocenza è spesso violata dall'ingerenza di una cultura istupidita che vuol renderli anticipatamente... grandi (!) facendoli scimmiottare atteggiamenti che parrebbero (parrebbero!) adulti (vedi penose pantomime a sfondo sessuale o commerciale); atteggiamenti per i quali, bambini e adolescenti non sono attrezzati.

Tutto ciò è “abuso di minori”. Senz'altro molto più diluito, meno percettibile se paragonato all'efferatezza di un abuso sessuale personalizzato; ma sempre di abuso si tratta.

Torniamo agli scandali nella Chiesa cattolica. In questi ultimi dieci anni circa, si è assistito ad un'incalzante denuncia nei suoi confronti. Quale il bilancio di tale campagna? Positivo.

Positivo perché ci si è maggiormente sensibilizzati sull'aberrazione dell'azione pedofila, sull'enorme danno che si provoca nel minore. Positivo perché ci si è maggiormente allertati circa un'azione che in molti casi viene silenziata. Positiva perché, nel caso della Chiesa Cattolica, tutto ciò ha significato un profondo transito di “umiliazione/riflessione/purificazione” (nell'ambito della spiritualità, l'umiliazione possiede una valenza fortemente correttiva e rigenerativa).

A questo punto poco importa se chi ha scatenato quegli attacchi mediatici l'abbia fatto per vero amore ai minori o per astio verso le Istituzioni cattoliche. Se bambini e adolescenti se ne sono beneficati, e con loro tutta la collettività, il resto passa in second'ordine.

Peccato che le stesse penne giornalistiche non si stiano stracciando le vesti con la medesima veemenza, di fronte ai milioni di abusi che ogni anno vengono fatti - per esempio - in molte società musulmane , alle minori, perpetuando devastazioni fisiche e psicologiche nell'umanità femminile (e maschile di rimbalzo) che si protraggono da generazioni. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di una prassi strutturata da sempre in quell'ambito religioso-sociale, accettata quindi come normale (da chi: dai minori ?!); ma si dà il caso che sulla psicologia infantile, omologata negli stessi fragilissimi meccanismi in tutte le bambine e bambini del pianeta, non ci sia cultura adulta-violenta che regga. Qualcun altro potrebbe oltremodo obiettare che bisogna andarci cauti nel fare osservazioni di sorta al mondo musulmano per via di certa suscettibilità. Ma se è vero che la difesa dei minori - i più deboli insieme agli anziani - , prima su tutto e su tutti (e così dev'essere), il coraggio e il... rischio della chiarezza garbata, che non annulla il rispetto anzi lo rafforza e lo rende operativo, non può non essere corso. Perché in questi casi, a mio avviso, la parzialità equivale a non autenticità e, in fin dei conti: a non vero amore verso quella realtà umana (i minori in questo caso) che si pretende salvaguardare.

Più in là dell'esempio appena riportato, sappiamo bene che se ci si vuol prodigare sugli abusi ai minori in tutto il mondo, ci si inoltra in una fitta selva ancora largamente inesplorata: bambini e adolescenti dilaniati, traumatizzati, resi orfani o precoci soldatini dalle ancora troppe guerre in corso; bambini e adolescenti schiavizzati per lavoro, per commercio sessuale, per il commercio degli organi; bambini uccisi dalla fame, dalle malattie; bambini e adolescenti vittime di un'educazione permissiva e consumista che altera il significato della loro esistenza; bambini assassinati causa i milioni di aborti praticati, ...

In questa rosa “color rosso sangue”, chi per un motivo o chi per un altro, ci vediamo tutti implicati: Paesi ricchi, Paesi poveri, Oriente e Occidente, Sud et Ovest. Tutti abbiamo le mani un po' imbrattate di sangue innocente.

Ma torniamo ai panni sporchi di casa.

Davanti all'esecrabile gesto di un abuso sessuale, ferve il sentimento di una giustizia immediata che spesso ha colore di vendetta. Più che comprensibile. Sarebbe, molto probabilmente, anche la mia reazione di fronte ad un abuso su mio/a figlio/a, sorellina, nipotina, cuginetto, ...
A questo punto fare “distinguo” tra giustizia e vendetta non è uno scontato valore aggiunto, quasi che tutti ne avessimo assimilato una volta per tutte il netto margine.

Cos'è la vendetta? Qualcosa che non porta a niente. Detto in altri termini: non è azione pratica, operativa, risolutrice, anche se nell'immediato, nell'apparenza, lo parrebbe. Il suo strascico è nient'altro che un “crescendo di guai”. Anche la vittima, alla fin fine, ne ricava un addizionale trauma. La storia insegna.

Cos'è la giustizia? Dallo stesso termine si evince: fare la cosa giusta. L'antropologia cristiana, fondata sul messaggio di Gesù di Nazareth – sulla base del quale sono stati assemblati i diritti umani modernamente intesi – intende la giustizia come quell'insieme di azioni che hanno come fine le cose giuste, ovvero: le cose più utili per il bene, per la crescita dell'uomo (cioè: tutti gli uomini) a prescindere dal merito o meno( questa ortoprassi ha la sua genesi nella stessa azione di Gesù, che ha considerato giusto amarci e salvarci senza alcun merito nostro – cf. Rm 3,22-24). Non sarebbe giustizia rettamente intesa un'azione che danneggi alcuni per il presunto bene (o salvaguardia) di altri (ecco perché, per esempio, il sistema economico imperante non può essere considerato giusto). Una giustizia che si alimenti alla fonte dei diritti umani come sopra intesi, implica sempre una connotazione riabilitativa o, detto in termini più maccheronicamente penali, “risarcente-riabilitativa”.

Quanto sopra non vada minimamente confuso con la tendenza, oggi in voga in ambiti giudiziari, che vorrebbe trasformare i “lupi in agnelli”. L'attore di un delitto va inquadrato nella dinamica del danno oggettivo commesso, quindi nella conseguente e proporzionata azione penale non fine a se stessa, ma dicotomicamente propedeutica alla salvaguardia della società, al risarcimento (verso la comunità umana) e alla sanazione (o riabilitazione) del vittimario. E la vittima? La giustizia stessa (intesa come sopra) non sarebbe tale e soprattutto... efficace (verso la vittima) se non adoperasse ogni energia per migliorare il più possibile la “triplice realtà umana”, ovvero: aiuto concreto alla vittima(attraverso persone e centri abilitati di cui accennerò più sotto); riabilitazione dell'autore del delitto; sensibilizzazione della comunità tutta. Questo, a mio avviso, il più valido risarcimento per tutti e per ognuno.

Non sia di troppo a questo punto ribadire due aspetti base di ogni progetto umano : prevenzione, e laddove non si è potuto: sanazione.

Prevenire. È il centro di ogni educazione protesa in modo “rettamente naturale” ad iniziare ed accompagnare il bambino verso abiti sani che di rimando scalzino vizi e derivati vari.

Sanare. La nostra società ha bisogno di tanta sanazione. Se crediamo che ogni persona sia un patrimonio da salvaguardare, urgono gesti di sanità da parte di tutti.

Nel caso della pedofilia, anche la Chiesa cattolica si è sottoposta, volente o nolente, ad un processo di sanazione. Le massicce pressioni mediatiche sono state, come già espresso, provvidenziali. Il buon Dio sa servirsi anche di vicende umane spiacevoli, per guarire e purificare (cf. Sir 2,4-5).

Certo: la sanazione non è un dato automatico, ma scaturisce da: accettazione, discernimento. Accettare la realtà dei fatti senza girarci troppo intorno e discernere in vista del cammino di guarigione.

Cosa discernere per primo? Le cause.

E qui tutto diventa più profondo e complesso. La denuncia e l'indignazione iniziali devono cedere il passo alla riflessione sulle cause di tale dramma. Riflessione che tutti possiamo (e dobbiamo) fare; ma visto che spesso le radici di un abuso affondano in una condizione di patologia (dell'abusatore), va data speciale precedenza agli addetti ai lavori.

Validi specialisti di molti Paesi del mondo stanno lavorando intensamente sul versante del recupero sia degli abusati che degli abusatori, e sul come esercitare prevenzione. Stiamo parlando di singoli professionisti, equipe o veri e propri Centri di recupero; un lavoro spesso esercitato in ombra, nella dovuta discrezione, ma con saggia efficacia.

Per quanto riguarda la pedofilia dei preti, se ne son dette tante; bisognerà quindi discernere “quali delle tante” possano servire e quali no.

Mi preme citare solo due aspetti: il celibato e la formazione.

Sia fuori che dentro la comunità cattolica, molte voci hanno messo sul banco degli imputati la scelta di vita celibataria. In poche parole: la convivenza prolungata con soli uomini (negli anni di seminario) e l'assenza di una vita coniugale cui far confluire le energie affettive-sessuali, provocherebbero alterazioni/deviazioni psico-affettive, eccetera.

Lo stesso dicasi delle Religiose (celibi e formanti comunità, in genere di sole donne) e dei Religiosi (celibi e formanti comunità, in genere di soli uomini).

Se così fosse: non si spiegherebbe come mai la maggior parte dei presbiteri, religiose, religiosi, siano persone non affette dalla patologia in questione. Se così fosse, non si spiegherebbero numerosi casi di pedofilia tra i ministri religiosi appartenenti ad altre confessioni*, sposati e con prole. Se così fosse, non si spiegherebbe come mai numerosi casi di pedofilia si enumerano tra uomini e donne sposati e con prole, ...

La condizione celibe (ma anche la convivenza o il matrimonio), è, in se stessa, del tutto estranea alla perversione pedofila, che ha le radici poste altrove. Ciò significa che i portatori di tale patologia (che solitamente trova radici nell'infanzia/adolescenza), la innestano nelle diverse opzioni di vita (matrimonio, vita religiosa, sacerdozio, ...). 

Altre voci hanno puntato l'attenzione su certe carenze nell'iter formativo dei presbiteri, delle Religiose e dei Religiosi. Mi trovo d'accordo.

Soprattutto nei seminari diocesani - tranne alcune eccezioni – l'attenzione/formazione alla dimensione psico-affettiva (che include il rilevamento di eventuali patologie nei candidati) non ha ancora ricevuto lo spazio dovuto. Lo stesso dicasi della formazione alla spiritualità personale, che contribuirebbe  non poco ad un più sano e fibroso ecosistema umano dei futuri presbiteri.

Vado al termine della riflessione, certo di aver toccato solo la punta dell'iceberg circa un dramma con numerose ramificazioni.

Al di là del problema "pedofilia", reitero la necessità che tutti abbiamo di recuperare un più reale rispetto verso il mondo infantile e adolescenziale. Abbiamo bisogno di riacquistare la capacità di ri-alimentarci della saggezza dei bambini, della saggezza che porta il marchio dell'innocenza!

Che bello se nei Parlamenti di tutti i governi del mondo, ogni azione politica fosse messa al vaglio di un piccolo Senato composto da bambini! Forse tutto diverrebbe più autentico.

Ma noi siamo adulti, e dobbiamo complicare, appesantire; sennò: che adulti saremmo?!!

Ma si dà il caso che Dio, che si è fatto uomo chiamandosi Gesù, creatore delle cose buone e belle, sia, nella sua essenza: “Semplicità Assoluta” (e quindi: sapienza assoluta); per quello se la intende così bene coi bambini (cf. Mt 19,13-14).

E gli adulti? Forse ritroveremo la strada della saggezza quando rimetteremo i piedi sulla sorprendente e disarmante saggezza della semplicità.

                                                                                                   Ignazio Cuncu Piano


* in Inghilterra e negli Stati Uniti, p. es., il numero degli abusi nelle altre confessioni, è superire a        quello dei preti e degli agenti pastorali cattolici.