Scrivo di proposito a elezioni compiute, tra altre cose, perché non posso e
non voglio fare campagna elettorale. Solo qualche considerazione su
come e quanto i recenti suffragi possano aver giovato al bene del
Popolo sardo.
Il bene del Popolo sardo. Asserzione molto usata durante la
campagna: da alcuni con l'adolescente pretesa di dar per scontata la
propria capacità di metterlo in atto; da altri con la sfacciata
smemoranza su inadempienze remote e recenti; da altri ancora con
proposte nuove e voglia di fare... sul serio.
Mi soffermo su alcune... classifiche.
La mancata vittoria del Gruppo che ha come riferimento l'uscente
governatore, ha segnato la fine - ma non troppo! - di un'amministrazione dalla palpabile
incapacità, dalla progettualità inesistente, dal... niente
fautore del peggio.
In prima posizione il PD. Una vittoria per modo di dire, visto il tasso di astensionismo alle urne. Essendo poi tra i convinti che centrodestra e
centrosinistra siano due lobi di un unico infecondo e ambiguo cervello, non trovo appigli per imbastire buoni pronostici. Non ho perciò molto da aggiungere,
se non per quanto riguarda quei Partiti Indipendentisti (d'ora in
poi: PIN) coalizzatisi, la cui scelta mi lascia perplesso. Ma su
questo mi estenderò più sotto.
Movimento Zona Franca (d'ora in poi: ZF): esigui risultati. Mi è parsa una proposta patinata da allettanti prospettive, ma confusa e ambigua fin nei dettagli. Mi è costato farmi un'idea sugli eventuali effetti di una sua reale applicazione. L'apporto di qualche amico competente e la presa visione di illustrazioni (a favore e contro) mi hanno offerto un'immagine non positiva di questa - tra l'altro remotissima - possibilità. La prima (ma non più importante) ragione che mi viene in mente è l'efficace resistenza che lo Stato italiano opporrebbe verso uno svincolamento dalle vigenti fiscalità. La Sardegna è terra coloniale, e continuerà ad esserlo finché rimarrà annessa allo Stato Italiano. A parte ciò, ZF mi dà l'idea del carro dinnanzi ai buoi... dell'entrare in acque mosse da ogni vento senza saper di navigazione... dello spendere e spandere risorse senza aver imparato a custodirle con parsimonia... dell'aprire casa propria ad estranei opportunismi senza aver appreso a gestirla con padronanza e decoro... d'illusione verso facili ricchezze tramite iniziative dal deleterio effetto boomerang, perché non consone alla vocazione dell'Isola. L'idea stessa su cui poggia ZF è spiazzante in partenza: “Abbiamo diritto a ZF perché siamo penalizzati in quanto isola...”. Quasi a dire che ZF debba essere un “plus” che colmi quel “meno” che il destino ci ha dato. Non è il massimo pensare se stessi quale popolo intrinsecamente svantaggiato, e non sarà certo la ZF a ribaltare tale negatività di fondo, definibile come la radice e causa prima dei nostri problemi.
Le più brillanti intuizioni economiche non faranno la nostra felicità, se in concomitanza non s'investirà nella costruzione di una solida mentalità positiva verso le proprie genti, la propria terra, le proprie acque, i propri cieli, la propria lingua, la propria cultura, la propria autentica storia, i propri vantaggi geografici. Con lo spirito a digiuno da questi aspetti vitali anche la ZF potrebbe rivelarsi l'ennesimo (e forse più facilitante) episodio di “libero saccheggio”. Detto in altri termini: una sospinta liberalizzazione economica senza autostima etnica potrebbe mettere in atto la nostra peggiore disgrazia. Cosa che già accade del resto. Perché la verità è che la Sardegna, per molti tragici aspetti, è già una ZF nella quale troppi golosi la fanno... franca: lo Stato Italiano, la Finanza privata ed altri attori che mettono e tolgono senza ostacolo alcuno e con indisturbata disattenzione ai diritti umani.
No, non è di ZF che abbiamo bisogno, ma di... “Zone
realmente Nostre”: da noi ben governate, da noi protette,
da noi ben regolamentate,
da noi rispettate e da noi fatte rispettare.
Torno alla coalizione tra alcuni PIN e il PD. Considero tali alleanze strutturalmente
inconciliabili (quindi infruttuose), perché ontologicamente diversa è l'anima di un PIN
da quella di un partito italiano (d'ora in poi PIT). Diversa nei
contenuti, nei fini perseguiti ergo nei criteri di
percorso. Il percorso propedeutico all'indipendenza scorre su
binari progressivamente distanziati da quelli di un PIT. Allenaze di questo genere sono... "pura illusione"; scombussolano gli stessi principi
del genuino indipendentismo; illudono la buona fede degli elettori circa la presunta
condivisione di un progetto inconciliabile nella prassi, a meno che
una della parti - PIN o PIT - sia disposta ad ibridare la propria
identità.
Il gioco pulito di un PIN consiste nel sudarsi "uno-a-uno" i consensi della gente, guadagnando credibilità nel territorio, con coerenza tra contenuti e prassi, senza scorciatoie di comodo, nella buona e nella cattiva sorte.
Il gioco pulito di un PIN consiste nel sudarsi "uno-a-uno" i consensi della gente, guadagnando credibilità nel territorio, con coerenza tra contenuti e prassi, senza scorciatoie di comodo, nella buona e nella cattiva sorte.
Le sostanziali differenze tra PIN e PIT non annullano la possibilità
di coincidere e collaborare su qualche tema di non elevato spessore strategico (vanno esclusi a priori, quindi, argomenti quali: vertenza entrate, servitù militari, servitù industriali, servitù turistiche, servitù alimentari, maggiore sovranità territoriale, riassetto delle banche). Ma questa è
altra cosa dalla condivisione di un progetto di governo. Alcuni
esponenti PIN hanno tentato di sottolineare che si è trattato di
un'alleanza strategica e non di programma. Francamente non riesco a
cogliere la differenza.
La realtà sottostante a queste anomale unioni trova ragion
d'essere, oltre che nel bisogno di stampelle in pro di qualche seggiola, nella persistente incapacità
di alcuni PIN verso significativi accordi fra di essi. Motivi
ampiamente secondari e infantili, rendono alcuni di questi partiti incapaci di
sciogliere quelle futilità senza le quali in breve tempo si
approderebbe ad efficaci intese comuni.
Credo sia responsabilità di tutti i PIN affrontare i perché di tale pregiudiziale frammentazione.
Fin quando verranno favorite collaborazioni con partner non affini
per indisposizioni tra partner affini, l'indipendenza nel suo asserto
più puro verrà alquanto mortificata. Fin quando non si vorrà
capire che sono i progetti che contano
(perseguiti attraverso un gioco di squadra coerente e privo di
arrivismi), non si riuscirà ad essere convincenti circa una seria
prassi indipendentista.
Sa di amaro paradosso constatare come uno dei deterrenti alla causa
dell'indipendenza risieda nella reciproca
avversione tra alcuni PIN. E sa d'infantile paradosso pretendere di voler fare l'indipendenza (la cui struttura portante è la costruzione di un comune e valido collante) separandosi in piccole isole autoreferenziali.
È pur vero che, per chi lo sappia
cogliere, v'è un aspetto positivo in mezzo a tanto ambaradan. Queste
confuse e ambigue discordanze/alleanze, sono al contempo una sorta di
filtro che sgombra il campo del reale indipendentismo da certi
dinamismi ad esso connessi solo nominalmente.
Qualche considerazione sulla coalizione “Sardegna Possibile”. È
questa la proposta che avrei votato se avessi risieduto nell'Isola. Il suo progetto mi è parso il più attinente alla
vocazione (e alle necessità) del “Continente Sardegna”.
Un progetto con baricentro nell'Isola, privo di retrobottega posti
altrove. Un progetto chiaro nelle priorità ma al contempo
incompleto, dichiaratamente cosciente di non avere risposte a tutto,
ed anche per questo... credibile. Un progetto che nasce dal basso, dalla capillare conoscenza del territorio, delle speranze e paure di chi lo abita. Un progetto necessitato della
partecipazione assidua, propositiva ed estimativa di tutti i cittadini.
Sardegna Possibile ha rappresentato (e rappresenta) un'alternativa di enorme valore: 1) perché possiede un'esistere vitalizzato da genuina passione per le Genti sarde; 2) perché propone un contingente umano costituito da persone per lo più giovani, culturalmente preparate, ricche di capacità innovative; 3) perché riesce a far sedere "fianco a fianco" attorno al tavolo di progetti comuni, persone di diversa condizione (capacità per niente scontata in un partito): il contadino e l'archeologo, l'industriale ed il pastore, l'artigiano e il docente universitario, l'operaio e lo studente, ... ; 4) perché propone
un'alterità di ampio respiro rispetto alla stagnante dicotomia del bipolarismo italiano; 4) perché si tratta di un progetto scevro dai condizionamenti delle
segreterie oltremare, ai quali i PIT debbono giocoforza sottostare... costi quel
che costi.
C'è anche da sospettare che forse tanta novità abbia in parte
giocato a sfavore. A volte il... “ nuovo” fa paura. Una paura che un
po' alla volta si va superando, come dimostrato in quei territori
ove tale novità è già in atto.
I non spregevoli risultati ottenuti da questa coalizione (76 mila consensi), contengono
un particolare valore aggiunto se inquadrati nella disastrosa realtà sociale da cui sono scaturiti; mi riferisco all'attuale apatia politica
del Popolo sardo. Un'apatia che in altri termini potrebbe definirsi come
un disgusto privo di capacità reattiva, una prostrazione: “U' grisu stratallau e
disimaiau, chena meda gana e cun pagu abilidadi dae scioberai”
(un disgusto frutto di estenuazione e scoraggiamento, senza molta voglia e con poca
capacità di scegliere). Sì: minima capacità di discernimento, ulteriormente offuscata da chi detiene il potere dei media. Un'apatia che proprio perché povera di discernimento, ha fatto di ogni erba un
fascio, proiettando colpe passate anche su chi nella scena politica
si sta appena affacciando con intenzioni sane, buone e alternative. Il terrificante astensionismo alle urne e una persistente (seppur declinante) sindrome di Stoccolma verso i PIT di maggioranza (paradossalmente: i reali responsaboli-complici del remoto e recente malgoverno) ne sono la palese dimostrazione.
È in mezzo a suddetta "confusa apatia" - che in poco tempo e partendo da uno sparuto manipolo (altro motivo di plauso) - si è fatta strada la proposta Sardegna Possibile. Ardua impresa! Forse è
proprio in questo “camminar in salita” (leggasi: "costruire con molta difficoltà") che risiede qual valore aggiunto cui sopra.
Riformulo, in chiusura, la domanda del proemio: quale giovamento da queste elezioni? Inizierei col puntualizzare cosa non giovò e non gioverà. Non ha giovato il solito clientelismo fine a se stesso. Non ha giovato la perfida legge elettorale, che ha escluso “enormi minoranze” per favorire le ritrite alleanze di spartizione. Non gioverà il fatto che la stessa coalizione vincente sia, in fin dei conti, rappresentante di una minoranza di Sardi. Non gioverà il governare dei prossimi cinque anni, inquadrato nell'andazzo di sempre. D'altrone - lo sappiamo - una delle garanzie di sopravvivenza, per questi partiti-marionette, consiste nella docilità verso i burattinai dellOlimpo finanziario che divorano l'Isola e le sue Genti, attraverso piani industriali ed energetici protesi a benefici esterni.
Cos'ha giovato? o meglio: cosa sta giovando? Sta
giovando la progressiva affermazione di proposte nuove e
oggettivamente valide. Proposte che sognano in grande ma con i piedi
per terra. Proposte che si spingono a sostenere, in alcuni casi, che la Sardegna è una...
Nazione, che può arrivare ad esserlo e che
solo essendolo potrà esprimere appieno la
propria felicità, la propria... modernità, la propria originalità, i propri ritmi di vita, la piena libertà per crescere... a modo suo.
Non è un dato secondario ammettere che le idee più innovative - in questi ultimi dieci anni circa - siano sorte in ambiti dal profilo indipendentista; un'evidenza che nemmeno i tradizionali PIT
hanno potuto ignorare (visto che più d'una volta essi stessi tentarono maldestramente di trafugarne alcune).
Sì, è vero, l'apatia imperversa; sarà dura risalire. Ma s'intravvedono strade. Strade nuove. Strade non perfette, non
asfaltate da polveri magiche, ma valide. Vale decisamente la pena camminarci su. No, non guardiamo - là fitziu! - al di là del mare... ché le abbiamo in casa! Non è irreale percorrerle. Coinvolti in prima persona. Senza delegare. Fermamente convinti che nessuno - tranne noi stessi - ci saprà riscattare.
Ignazio Cuncu Piano.