lunedì 15 luglio 2013

TURISTI: NON VENITE NELL'INQUINATA SARDEGNA!

Un titolo meno esagerato, in piena stagione, no... eh ?!”. Beh, esagerato sì, ma non troppo. O meglio: un titolo dai toni (volutamente) provocativi, ma non falso.

Convengo che nessuno si sognerebbe di affiggere simile frase (magari illustrata con qualche poco edificante fotografia) nelle accoglienze aeree di Elmas, Olbia, o negli approdi di Cagliari, Olbia, Porto Torres! Equivarrebbe, come dire, a darsi una zappata sui piedi? Mah! Son ben altre le zappate che ci diamo addosso noi Sardi. Spesso inavvertite, subdolamente celate persino dietro gli zuccherati slogan vacanzieri, che riempiono d'inutile e confusa fierezza la nostra testa, e di tanti utili le tasche di altri .

Mi viene in mente a tal proposito una storiella che suona più o meno così:

- “ Turisti, se ci tenete alla salute... non andate nell'inquinata Sardegna!” - “Turisti: soprattutto se avete bambini... vi sconsigliamo di venire nella geneticamente alterata Sardegna!” - . Il terribile proclama ad opera di mano ignota venne ostentato in sale d'aspetto di porti, aeroporti, stazioni... su dépliant turistici di tutto il mondo. All'iniziale gelamento di sangue, nell'animo dei Sardi che leggevano l'obbrobrio (soprattutto i “disterraus” (emigrati), quelli che, lontani dalla Patria, ne abbiamo perennizzato la visione bucolica) subentrò una sacrosanta indignazione: - “Ma ita tiau funt iscriendi; cumenti si permitint; funt ammacchiendisì ?!!?” - (ma che diavolo scrivono; si permettono; stanno impazzendo ?!!?). Chi aveva osato scalfire l'intoccabile mito (e proprio di mito si tratta!) di una Sandalion dalle illibate geografie guarnite di tropicalizzanti spiagge, di vergini e selvagge foreste, di sorgenti, di sapori che traboccano naturali gustosità ?
In massa si recarono all'infallibile Tribunale dell'Umanità a chieder che si rivelasse la mano colpevole, l'autore di cotanto gratuito vilipendio, onde fosse comminata pubblica ammenda. Ma: colpo di scena! Tutti piombarono in un silenzio cosciente quando il fantomatico Scrittore (anzi Scrittrice) si diede a conoscere. Nessuno avrebbe potuto immaginare che fosse stata proprio lei: la nobile e sempre equanime Giudicessa suprema di quella medesima infallibile Corte : la Verità”. Nessuno, al suo apparire, osò proferir verbo. Tutti sapevano: davanti alla di lei autorità, l'unico gesto saggio era il fertile ascolto. Con dolce fermezza, donna Verità prese parola: - “Fu per amore all'Isola e a voi suo Popolo che la mia mano compose tal frase, da cui impariate a superar l'inutile costumanza, che vi fa turbare davanti ad ogni futile denigrazione verbale, mentre niente dite e meno fate di fronte a chi, con cortese disonestà, voi strugge e la vostra terra distrugge, grattugia, depreda, maltratta... goccia dopo goccia, giorno dopo giorno” .

Possiamo far finta che si tratti di una leggenda o liquidare il tutto come un brutto sogno. Invece no: è tutto vero. Non solo, il raccontino reca in se' ampia coscienza etica: non possiamo vendere pesce marcio come fosse fresco; non sarebbe onesto. Ichnusa è inquinata tanto, troppo. Urge prenderne atto.

Insomma: non è quel paradiso incontaminato da noi declamato, ove far adagiare, in piena garanzia, corpi di turisti anelanti selvagge et illibate geografie. Tanta terra, tanta sabbia, tanto mare, tante fonti e tanta aria “de sa giaiosa Insula nosta” (della nostra cara Isola) trasudano alte concentrazioni di porcherie di ogni genere; a volte veri e propri laboratori di... alterazioni genetiche.

Non so se la più inquinata d'Italia come alcuni sostengono, ma di certo sempre più ridotta a pattume. Scorie minerarie dense di principi tossici; industrie chimiche che impregnano aria e mari (le ciclopiche ed economicamente “inutili anzi gravose” servitù industriali); approdo di navi cariche di rifiuti ; ampie superfici terrestri e marine stuprate da esercitazioni belliche (le diaboliche servitù militari); scie chimiche ed il loro sospettoso strascico; lo stesso mal gestito apparato turistico, che ha tappezzato di cemento (legalmente abusivo) enormi perimetri costieri (e l'andazzo non accenna a scemare!), giusto per dirne alcune.

C'è un enorme tasso di beffa in tutto ciò, visto che la quasi totalità di queste velenose scelte sono state (e sono) imposte dall'alto e dal di fuori (con la nostra arrendevole complicità). Chissà: anche la beffa sarà da annoverare fra gli agenti contaminanti il nostro territorio interiore? Temo di sì.

Ma che problema volete che gli faccia al turista la presenza di un'industria petrolchimica !?”, esordiva un assessore regionale, qualche anno fa, in un dibattito televisivo. Così superficialmente e svogliatamente impostata la questione, saremmo quasi tentati di dargli ragione. Volendo andare a fondo, invece, ci si può accorgere che Sandalion non dev'essere sana e bella per il turista, ma per la dignità e il “gusto di vivere e di viverci” di chi vi abita: i bambini sardi, i giovani... le donne... gli uomini... gli anziani... i malati. Perché la terra, per quanto turisticamente vendibile possa essere, è prima di tutto parte vitale di chi vi nasce e di chi l'adotta come tale. Elemento simbiotico con chi in essa trova il sostentamento quotidiano, attraverso una complicità vitale protesa a rendere sempre più bella e buona sia la terra, sia chi la la popola ( “sora [sorella] nostra matre terra [che] produce diversi fructi con coloriti fiori et herba”. - Francesco d'Assisi, “Cantico delle Creature”, 1224ca.).

Quando esiste tale relazione di empatico affetto, fatto di attenzione, gratitudine ed equilibrio, verso la propria terra, allora anche il turismo diventa un'iniziativa godibile e proporzionata; altrimenti anch'esso si riduce a un aggiuntivo agente inquinante e dispendioso.

Per controbilanciare l'odioso titolo di questa riflessione, si potrebbe obiettare come nell'Isola persistano - sia in terra che in mare - rigogliosi polmoni di alto pregio floristico e faunistico. È vero, grazie a Dio. Ma attenti! L'inquinamento è un mostro che non obbedisce confini, dotato di un'incontrollabile essenza anarchica che ne determina le pericolose migrazioni! Le grosse sacche di veleni sono una macchia d'olio che deborda in ogni dove l'iniziale circoscrizione. Un pericolo in continuo movimento quindi, reso ancor più grave dal contesto dell'Isola, caratterizzata da equilibri ecologici tanto splendidi quanto strettamente interconnessi e fragilissimi, da soppesare/ utilizzare/ misurare col “bilancino dell'orefice”, e non certo da calpestare coi piedi d'elefante.

Le sostanze chimiche scaricate massivamente nel nostro mare, non sanno delle sue variopinte trasparenze, e non ci chiederanno nessun permesso il giorno in cui, giunte a saturazione, dovessero intorbidirne i colori e sterminarne la variegata e in molti espetti endemica flora e fauna!

La Sardegna è abbastanza grande e generosa da permetterci di vivere dignitosamente, ma abbastanza piccola da non poter metabolizzare i troppi agenti inquinanti che in essa coesistono in crescendo.

Quale la soluzione? Non amo parlare di soluzioni: sanno di pozione magica; micidiale veleno propinatoci dalla politica isolana e oltremare, quella stessa che ha confezionato, in questi ultimi cinquant'anni circa, i malefici “incantesimi” che ci stanno avvilendo.

Non si tratta quindi di soluzioni ma di percorsi da progettare. Percorsi che rechino in se' lo stile di vita che desideriamo per noi; uno stile di vita compatibile con la terra che la vita ci ha assegnato in dono. Chi deve progettare? Noi e non altri. Noi dobbiamo progettare, noi dobbiamo portare avanti, noi dobbiamo essere i custodi del progetto, noi dobbiamo apportare verifiche e modifiche, noi dobbiamo assumerne le responsabilità, fino in fondo. Un cammino impercorribile se non ci disinstalliamo dalla nostra piagnucolante comodità.

C'è però una pericolosa ambivalenza che va scorporata dal progetto: non possiamo vivere col diavolo e l'acqua santa, pretendendo capra e cavoli. Tutto ciò tradotto in lingua sarda significa: non si può abbinare l'industria pesante e altri agenti di inquinamento massiccio, alla geografia di un'Isola con determinate caratteristiche e dimensioni. Mille altre risorse ci offre la nostra generosissima terra, ma quella no! Sono gli scottanti avvenimenti che stiamo protagonizzando nel presente a gridarcelo in faccia. Urge cambiare mentalità e filosofia di vita. Un giro di boa che non sarà tale fin quando permetteremo che per un misero stipendio si costruiscano mastodontiche latrine nel loggiato di Casa nostra. A che vale il posto garantito alla SARAS (industria che ha usurpato, tra altre cose, un'enorme superficie di costa vocata al turismo) per un abitatore di Sarroccu (Sarroch), se ancor in giovane età dovrà lasciare orfani i propri figli? E gli enormi spazi sottratti dal Governo Italiano per i giochi di guerra? Quante possibili iniziative frustrate! Il giorno (spero presto) in cui spariranno questi mortali spettri , ci si renderà conto che, senza il vorace gatto, tanti topi potranno ballare, respirare, creare, assaporare formaggi... vivere meglio. Perché i topi non sanno che farsene del gatto per procurarsi il formaggio! Questo lineare concetto, molto semplice per i topi, non lo è ancora del tutto per noi Sardi.

Eppoi: si può sostenete un'adeguata e responsabile attività turistica in mezzo a tanto “chimico ambaradan?”. Non è cosa ne' di buon senso ne' professionalmente seria, se ci si pensa bene, visto che l'armonica coreografia ecologica è indispensabile per incoraggiare questo tipo di industria. Fermo restando quanto sopra: la ricostituzione di una vocazione turistica più sentita e curata, potrà essere solo consequenziale alla scelta di qualità di vita che ogni donna e uomo sardo farà, prima di tutto, per se' e per i propri figli.

C'è un altro fondamentale aspetto da chiarire in merito. Donna Verità (quella del raccontino in proemio) ci ricorderebbe che i proventi turistici rimanenti nelle casse dell'Isola sono... irrisori. La gestione di quest'attività (quindi i capitali) nel suo insieme non è - lo sappiamo - nelle nostre mani. E se continueremo a delegare, svendendo parchi e coste ad Emiri o a chicchessia per mendicare poscia un po' di pane secco in casa nostra (macabro sillogismo!) , le cose non andranno mai bene: tutt'altro.

Sarà cosa buona riappropriarci della Casa, con serenità e fiducia verso noi stessi, coll'entusiasmo che sostiene chi è protagonista di se stesso. Sarà possibile? Sì. Sarà difficile? Anche. Ma forse meno di quanto si pensi. Per percorrere questo nuovo cammino, c'è un assioma da non eludere mai (perchè equivarrebbe ad una falsa... astuzia): non credere ne' cedere alle ritrite/ altisonanti/ risolutive (!) chimere piombate dal cielo (specie se da... altri cieli) e camminare su progetto più semplici ma dignitosi, più intrisi di saggezza, più a misura d'uomo, e soprattutto nostri: a testa alta!

Questo dovuto protagonismo, seppure ancora embrionalmente, è già innescato nell'animo di sempre più persone. Segno di una felice primavera; forse ancor timida, ma progressiva nel suo evolversi.

Una primavera che non si acconta di rimaner tale, ma che ha la sacrosanta pretesa/diritto di andare fino in fondo: approdare alla stagione estiva dell'Autodeterminazione Politica, dell'indipendenza. Unico (non ce n'è altro) modo per costruire il nostro cammino senza le frenanti manipolazioni - e a tutt'altri scopi protese - interferenze della Nazione a cui ora siamo subordinati.

In tale nuovo contesto di protagonica, sovrana (a tutto tondo) e armonica operatività, anche gli slogan turistici (pochi, in verità, perché il “fatto bene” parla di se') avranno un altro gusto: più pieno, più nostro, più... vero:

Cari turisti, vi aspettiamo in Casa nostra! Avremo piacere di trattarvi come foste... noi stessi. Sdraiatevi pure sulle nostre spiagge, riposate sui prati. Rinfrescatevi alle nostre acque. Portate i vostri bambini: abbiamo preparato per loro le stesse cose belle e sane che diamo... ai nostri figli”.

                                                                                                  Ignazio Cuncu Piano.