domenica 22 dicembre 2013

SA FESTA DAE S'ARBARÈE CHENA LIANORA.

(La festa dell'Arborea che dice no al Progetto Eleonora)

Da sempre mi appassiona l'agricoltura. Riesce ad intrattenermi tutto ciò ad essa connesso; persino il “tractor drag” di Arborea.

Mi piace sottolineare un aspetto che differenzia questa competizione dalle versioni classiche. La tradizionale slitta su terreno battuto, è infatti sostituita da un rimorchio carico di blocchi di pietra, trainato su un percorso elevato composto da un terrapieno poco compattato, quindi piuttosto affondevole.

Questa specificità aggiunge una nota originale: non sempre i trattori più prestanti e moderni hanno l'onore di superare la prova! Le insidie del terreno di gara richiedono accorgimenti che solo l'ingegno artigianale sa fronteggiare. Come dire: la forza bruta e la tecnologia di ultimo grido, in questa vita, non son tutto!

Ma sto andando fuori tema. Non intendo infatti trattare di competizioni su trattrici, ma di qualcos'altro di cui il certame arborense è solo il felice pretesto.

Tra gli striscioni che addobbavano la festosa manifestazione di quest'anno, uno - a ben visibile altezza - recava la seguente frase: “No al Progetto Eleonora”.

Progetto Eleonora. Quest'elaborato eufemismo esprime una concessione che la Società Saras ottenne dalla Regione (nel 2009 ?), per tastare la presenza di idrocarburi nel sottosuolo di una vasta area dell'Oristanese. Il progetto, a prima vista allettante sia per le possibilità di posti di lavoro che per disponibilità di energia locale a basso... costo (mmh!), si rivelerebbe non idoneo su vari fronti: eccessivo impatto ambientale, reali benefici economici limitati, ingenti danni alla vocazione agro-zootecnica della zona, esproprio di un bene naturale che va amorevolmente gestito solo dalle Genti sarde, alle quali la vita affidò questa bella porzione del pianeta. Da non tralasciare un conturbante dettaglio: la Saras non è precisamente un'associazione di beneficenza: anzi tutt'altro (le disavventure di Sarroch e dintorni sono lì, a - spero non perenne - monito).

Non è la prima volta che la fama della grande Giudicessa viene abusata per camaleontizzare manovre nocive alla sovranità territoriale.

Andrebbero aggiunti molti dettagli per spiegar a fondo il Progetto Eleonora; ma tecnicamente non ne sarei capace e probabilmente chi mi sta leggendo ne sa molto più di me (internet offre discrete illustrazioni, a favore e contro).

Desidero semplicemente riflettere su come l'energia positiva contenuta in quella frase esposta in grande al tractor pulling, possa rendere una festa molto più salubre, godibile e prolungata.

Festa e Progetto Eleonora; e dove sarebbe il nesso?! Mah! Forse non c'è nesso alcuno. A me però piace vedercelo. Perché probabilmente molti di quei trattori tirati a lustro per il drag, siano gli stessi che con la loro mole difesero Eleonora dalla non gradita omonima: quella del... Progetto, per appunto.

Ma cos'è la festa? La si potrebbe definire l'espressione più coreografica “dell'intrinseca bontà della vita” (Leonardo Boff, El Sentido del Humor y de la Fiesta, Servicios Koinonia, 2008).
L'uomo possiede una naturale tendenza a fare ordine nel proprio esistere, attraverso puntuali valori di riferimento (cfr. P. Berger; E Vogelim); la festa potrebbe rappresentare il momento più estatico di tale tensione, la celebrazione degli sviluppi della vita buona che da quell'ordine scaturisce.

La festa perciò, è in se stessa un'esperienza umana di godimento buono (cioè: bello) e intenso; o almeno così dovrebbe essere.

Alla base del desiderio di festa come “fatto” della bontà della vita, possono preesistere due situazioni esistenziali. Una potrebbe essere quella appena accennata, ovvero: positive tensioni quotidiane che confluiscono nella celebrazione di una condensata soddisfazione. Penso alla maggior parte delle sagre ancestrali di Sardegna (ma non solo), scandite dai ciclici frutti dell'agricoltura e della pastorizia.

La seconda situazione (motivante la festa) potrebbe essere quella esattamente contraria: frustrazione per la mancanza di quell'ordine essenziale che conferisce bellezza alla vita; oppressione e insoddisfazione che tinge di monotonia il quotidiano. Una pressione esistenziale che trova nella festa una valvola di sfogo, l'unico modo per ricreare - almeno per un breve lasso di tempo - la sensazione di un'armonia che nel resto dei giorni non v'è a sufficienza.

Forse è per questa ragione che in molti Paesi del mal chiamato Terzo Mondo, paradossalmente, le feste sono vissute con maggior inversione di emotività, di fantasia e di tempo. Un atteggiamento spesso da noi non condiviso per l'apparente contraddizione che reca in se'. Invece si tratta, probabilmente, della reazione più umana che si possa avere di fronte alle frustrazioni del quotidiano; quasi a dire - come già sopra - che attraverso la potente sollecitazione dell'umore e della fantasia (cfr. Boff, op.cit.), si cerca di assaporare quella vita buona che il quotidiano non riesce ad offrire.
Esiste però il rischio di sfociare nell'euforia fine a se stessa o nella deriva di un rituale dai tratti orgiastici, atto a stimolare in eccesso gli appetiti, facendoli poi ripiombare nel grigiore quotidiano con maggior frustrazione. In questo caso la festa si ridurrebbe in parabola che parte dalla mestizia e ad essa fa ritorno. Anche le civiltà opulente, forse per altre cause, conoscono queste nocive oscillazioni.

L'autentica festa si nutre di un quotidiano soddisfacente e nutre a sua volta il quotidiano, attraverso un salutare dinamismo di reciprocità. L'autentica festa, detto in altri termini, è sostenuta da un quotidiano dignitosamente passabile, costruito in armonica relazione con se stessi e con gli altri, nella realzione col divino (per chi vive questa scelta), nel rispetto verso la terra quale fonte di vita, nei personali e comunitari valori di riferimento vissuti in buona fede, aperti all'alterità arricchente e difesi con fermezza quando necessario.

È in questo contesto di festosa celebrazione (e salvaguardia) della vita buona  che a par mio s'inserisce quel “No al Progetto Eleonora”.

Alcuni hanno interpretato il messaggio di quella frase come svantaggioso (quindi non festevole), adducendo che non si può crescere coi No”. Un'osservazione piuttosto lacunosa. Perché in realtà bisognerebbe analizzare quanti potenziali “sì” possono motivare un “no”, e quanti inibitori “no” può vomitare un “sì” concesso incautamente.

Gli ultimi centocinquant'anni della nostra storia - giusto per avere un riferimento delimitato – hanno pagato caro le facili concessioni verso invadenti saccheggiatori (pubblici e privati) dal sorriso di gomma; spesso applauditi quali salvatori dell'economia, e al contempo - sig! -  sovvenzionati  da noi stessi e dall'ordine costituito. Perché la verità, nelle sue reali proporzioni, è che siamo stati noi - a nostre spese! -  i benefattori e la fortuna di questi individui.

Il “no” delle Genti arborensi - pazientemente sensibilizzate da comuni cittadini (in buona parte giovani) – è scaturito dalla cosciente intuizione di come un ennesimo “sì” avrebbe riproposto quei medesimi  espropri di felicità  (perché alla fine di questo si tratta).

La costante sensibilizzazione ha centrato gli obiettivi, abilitando quelle Comunità a reggere il confronto con gli stessi rappresentanti della Saras, attraverso contro-argomenti di solida oggettività.

È a causa di questo protagonismo consapevole che quel “no” acquista valenza propositiva. Dietro quel “no” ci sono i tanti “sì” di un Popolo che prende in mano il proprio vivere, senza lanciarsi in pasto agli squali ammaliatori della non-politica e della finanza brutale. Dietro quel “no” c'è il “sì” alla parsimonia che rifiuta lo sfruttamento compulsivo dell'ambiente; il “sì” che si fa amore garante e previdente verso i figli e i figli dei figli. Dietro quel “no” c'è il “sì” alla sana politica, che ha luogo soltanto quando è la stessa polis a gestire la polis, senza burattinai dagli opachi canovacci prestabiliti.

Il risultato di questa scelta è felicemente tangibile: le previste trivellazioni non si sono realizzate; e se la popolazione – come spero – manterrà fermezza, quelle trivellazioni mai ci saranno.

Si tratta di un avvenimento di enorme portata, da plasmare in tutti i libri di storia sarda, perché sbugiarda con ampio stacco la presunta irremovibilità di quel servile fatalismo (sedimentato nell'animo di sempre meno Sardi) basato sulla supposta aprioristica impossibilità di far fronte ad ogni sorta di stupro calato dall'alto (vuoi dal Governo Italiano, da decisioni internazionali o da iniziative della finanza privata).

Nell'Isola persistono le macchinazioni egemoniche dal sapore diabolico; ma stiamo al contempo scoprendo che, se vogliamo,  il vento può cambiare a favore.

Superando certa tendenza alla comodità delegante... assaporando l'umanizzante soddisfazione che scaturisce dalla sovranità esercitata... convogliando criteri verso un'esistenza dall'economia dignitosamente essenziale (l'unica che possa permettere al pianeta di sostenerci), potremmo... potremo... possiamo reinserirci, in gradevole progressione, nella più autentica nostra essenza: quella di persone vocate - per intrinseco diritto - alla vita buona.
                                                                               
                                                                            Ignazio Cuncu Piano

martedì 10 dicembre 2013

SENTINELLE DELLA POLIS.

Dopo alcune voci circa un'eventuale candidatura alle Regionali sarde, don Ettore Cannavera (d'ora in poi: d'E) chiarisce che: niente di tutto ciò. Si limiterà a creare e accompagnare un movimento politico-culturale chiamato “Terra di pace e di solidarietà” (tenuto a battesimo alcuni giorni fa). Un Movimento aperto a tutti, la cui parola d'ordine è bella e chiara: “essere le sentinelle della politica”. Un impegno che ogni cittadino dovrebbe portare avanti normalmente; un indispensabile “sensus rei publicae” che d'E desidera ridestare nel Popolo sardo.

Trovo interessante che tale iniziativa sorga da un uomo che ha fatto della propria esistenza un autentico “atto politico”, ovvero: un servizio normale ed efficace alla comunità.

Ma chi è nella vita quotidiana d'E? Una persona encomiabile. È cappellano nel carcere minorile di Quartucciu e fondatore della comunità “La Collina” (sita nelle campagne di Serdiana): un centro per il reinserimento dei carcerati nell'ambito sociale e laborale. Ebbi qualche contatto con lui anni fa; un interscambio di idee ed esperienze, poiché anch'io ero impegnato nella pastorale carceraria. Il suo essere uomo di Dio che s'imbratta mani e piedi nelle melmose strade della marginalità, mi fu di grande esempio. La genuinità del metodo adottato (nella comunità La Collina), parla di un uomo competente, intelligente in pensiero ed azione, capace di rivitalizzare - attraverso un valido progetto rieducativo - la fiducia e la libertà responsabile in persone sulle quali in pochi osano scommetterci su. Grazie al suo carisma riesce ad immettere i giovani detenuti all'interno di relazioni nuove e di forte stimolo , attraverso periodici incontri di carattere culturale con: studenti universitari, magistrati, politici, impresari, sacerdoti, giovani impegnati, … . Chi è stato a conttatto con i carcerati, sa quanto sia importante inserirli in ambiti sociali alternativi ai loro soliti.

Sono felice che d'E non abbia accolto l'idea di possibili candidature o robe simili. Non sarei stato d'accordo, per gli stessi motivi da lui addotti. La pur nobile militanza politica, tranne casi molto particolari, non si confà a un presbitero (cfr. Diritto Canonico, 278-§3; 285-§3; 287-§2).

Un sacerdote ha mille altri modi per fare politica (servire le persone): la vita di d'E, come già sopra, ne è palese dimostrazione.

Ho potuto osservare come alla convocazione di Serdiana si siano concentrate entità partitiche in apparenza eterogenee. Volendo orientarmi all'ottimismo, potrei ritenere ciò di buon auspicio. Non posso però evitare due perplessità che mi sorgono spontanee.

La prima è rivolta alla possibile strumentalizzazione (da parte di alcuni) della buona fede di questo sacerdote. Mi riferisco ad un eventuale velato calcolo opportunista, in base al quale alcune entità partitiche isolane, ormai desprestigiate(si) e perciò esposte ad esigui esiti elettorali, potrebbero tentare di imbrillantare la propria livrea attraverso la luce riflessa delle doti carismatiche di d'E.

La seconda perplessità centra l'attenzione sull'interrelazione tra l'onestà dei singoli e la struttura globale (leggasi: progetto reale) de partito di appartenenza. Cerco di spiegarmi.

d'E porge a tutti un forte invito ad un'etica lineare. Bisogna però constatare che in certi gruppi politici tutto ciò è strutturalmente impossibile . Detto in altri termini: l'onestà del singolo politico viene mortificata dagli ambigui interessi sedimentatisi al vertice dei partiti d'appartenenza. La stretta dipendenza dagli ambiti finanziari e poteri vari posti altrove, li rende remissivamente complici di strategie economiche che tutt'ora fanno della Sardegna una colonia. Come potrebbe un politico sardo (affiliato a queste entità), seppure retto da onestà, sostenere i sani interessi di casa propria nel vortice di tale forza centrifuga?

Quest'inadeguatezza etica strutturale, senza previa capacità di autocritica, renderebbe del tutto infeconda la pretesa di partecipare ad incontri dal genuino sapore di polis come quelli di Serdiana.

La triste verità è che i tradizionali gruppi politici italici, al momento non hanno niente da dire e da dare in Sardegna, semmai abbiano mai dato qualcosa nel passato. Il loro humus è stantio e  non adatto ala nostra realtà. Soltanto una rifondazione che contempli ferma distanza dagli intrallazzi della finanza, dai troppi privilegi e quant'altre cose (a cui non sanno rinunciare), potrebbe rilanciarli in credibilità.

Quest'ipotetica rigenerazione di fondo è lontana anni luce dal presente e sarebbe illusorio pensare che possa darsi nel poco tempo che ci separano dalle Regionali 2014.

Ad ogni modo, a prescindere dalle mie congetture, l'iniziativa di d'E è in se stessa un'impresa di alto valore civico.

Auguro di cuore che le riunioni di Serdiana possano raggiungere gli obiettivi preposti (tra cui il più centrale: ridestare la speranza nella gente). Auguro che siano dense di novità, partecipate da tanta gente comune (la vera polis). Auguro che abbia successo nell'intento di setacciare ciò che è politica da ciò che non lo è. Auguro che possano catalizzare in un dialogo proficuo quelle realtà isolane caratterizzate dalla stessa nobiltà di fondo.

L'esistenza di nuove conformazioni, chiare nei contenuti essenziali e con accento fortemente locale (Liste Civiche, ...) è infatti una realtà sempre più tangibile nell'Isola. Si tratta di realtà ancora variopinte, ma che in alcuni casi stanno procedendo verso un amalgama fondato su progetti di più ampia portata. Progetti che perseguono il recupero della “vivibilità della vita” in armonia col proprio territorio. Si tratta di un obiettivo urgente, essenziale, che ha a che vedere con il ripristino di una felicità esistenziale alquanto carente fra le nostre Genti.

Un obiettivo da perseguire a testa alta e con fermezza, anche quando ciò significhi andar contro certe politiche egemoniche che lo Stato Italiano continua ad adottare, imperterrito: sul suolo... sulle acque... sui cieli... sulla carne dei Sardi.

                                                                                                               Ignazio Cùncu Piano.

venerdì 6 dicembre 2013

IL "MADE IN ITALY" D'IMPORTAZIONE.

Quando mi arriva all'orecchio la cantilena del “Napoletani contraffattori!”, penso con tristezza all'ipocrisia che soggiace a tale luogo comune. Perché in verità, dietro il dito della ritrita squalifica verso le Genti partenopee, si nasconde in fila indiana un... lungo esercito di contraffattori “il-legalmente riconosciuti”, tra cui la stessa Comunità Europea!

Alcuni giorni fa, una folta rappresentanza di agricoltori italiani ha invaso la frontiera del Brennero ed ha bloccato diversi camion carichi di prodotti Made in Italy importati da altri Paesi UE.

C'è da chiedersi come possano - le rigide norme Europee - conciliarsi con tale palese contraddizione.

Gli agricoltori non sono facili agli scioperi. Abituati a non ricevere niente da nessuno e a sudare spesso più del dovuto i propri profitti, scendono in piazza solo quando arrivano al limite della sopportazione. L'agricoltura italiana è stata (ed è) inibita a dismisura dalle norme europee.

Infatti, mentre il Governo Italiano fa finta di risolvere i problemi dell'occupazione, migliaia di persone, nel settore agricolo, perdono lavoro a causa di carne, latte (e prodotti vari) che entrano nel Bel Paese (provenienti da: Belgio, Germania, ...) con mentito marchio patrio.

Un ironico plauso al merito andrebbe alla Germania; la presunta scolaretta modello nella scolaresca delle Dodici Stelle, che pretenderebbe "compiti ben fatti" dagli altri.

È cosa strana che a questa manifestazione abbia patecipato - sommandosi alla protesta (?!) - il ministro italiano delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ovvero: colei che avrebbe dovuto difendere a priori e nelle competenti sedi la genuinità dei marchi d'origine, ma che in realtà non può far niente.

Insomma: la tanto conclamata UE sta smantellando l'Italia, penalizzandola su troppi fronti. Penso al famigerato euro : il terrore delle casalinghe, vale a dire: la rovina dei bilanci familiari.

Ci si dovrebbe chiedere ogni tanto, perché verbigrazia, l'Inghilterra non volle entrare nel “Club dell'euromoneta”, e perché - guarda caso! -  la signora Margaret Thatcher pronosticò (in vista dell'entrata in vigore della moneta unica) un catastrofico avvenire, soprattutto per le Nazioni Mediterranee.

È chiaro che la moneta euro in se' non ha nessuna colpa; ma il contraccolpo economico che hanno dovuto subire i cittadini italiani al momento del cambiamento di valuta, è stato vergognoso da parte del Governo o di chi per lui l'abbia permesso. Praticamente l'entrata in vigore dell'euro ha quasi dimezzato il patrimonio delle famiglie. Un dimezzamento dal quale ancora non ci si è ripresi. Un ingiustizia che grida vendetta agli occhi di Dio!

I pur comprensibili sacrifici in vista della "Casa Comune", non possono tollerare l'eccesso di operazioni chirurgiche tanto cruente, che non incoraggiano certo il processo unitario europeo.

La perdita della sovranità monetaria non è stata sostituita da un meccanismo che permetta all'Italia e ad altre Nazioni di far valere l'alta qualità dei propri prodotti. Gli stessi parametri di qualità, ribassati in certi casi dall'UE (penso, giusto per fare un esempio in apparenza banale: al cioccolato italiano, non secondo a nessun'altra Nazione), non hanno giovato alla personalizzata bontà della tradizione Made in Italy. Morale della favola: si ha l'impressione che nell'UE ci sia qualcuno che faccia il furbetto, ribassando le "altrimenti troppo competitive" qualità altrui e/o... rubacchiandole quando possibile!

Ma il Governo Italiano pare sia d'altra opinione: avanza imperterrito affermando con ottusa solennità che “UE è bello, è giusto, è doveroso!”, e, al contempo, continua a calarsi braghe e mutandoni, immolando il tessuto produttivo del Paese, sotto le mentite spoglie di doverosi sacrifici in vista di un futuro che paventa un torbido epilogo.

Non sono contrario all'UE, a quella pensata dai Padri Fondatori, i quali prevedevano una graduale unità in primo luogo politica/culturale, e soltanto in seconda istanza economica. Per quanto concerne quest'ultimo aspetto, questi grandi statisti, in buona parte cattolici, s'ispiravano alla dottrina sociale della Chiesa, incentrata su un economia funzionale alla persona, al lavoratore (cf Leone XIII, Rerum Novarum; Pio XI, Quadragesimo anno; la dottrina sociale di Pio XII) e costantemente protesa a dignificare-sollevare le fasce umane più deboli.

L'assetto attuale, al contrario, trova la sua genesi in una frettolosa-omologante unità economica che non riesce a mantenere equanimità e proporzionalità per tutte le Membra del Corpo, che sa generare situazioni di crisi a tavolino. Non tutela ma altera i tradizionali ritmi economici delle Nazioni di appartenenza, in base a rigidi e ambigui dettami di non chiara provenienza. Nemmeno la vita e la famiglia nella sua naturale essenza (base di ogni società e di ogni economia) è protetta adeguatamente: anzi il contrario (ma questo è un altro argomento, che implicherebbe un articolato discorso a parte).

Un'Europa vincolata a tali presupposti... non mi entusiasma. Anzi: mi preoccupa.
                                                             
                                                                                                               Ignazio Cuncu Piano.