mercoledì 29 maggio 2013

FUMATORI PASSIVI P€R OCCULTA RAGION DI $TATO (le basi militari in Sardegna)

Adesso che è di prassi il divieto di fumo in ambienti chiusi, è più percepibile cosa sia il tabagismo passivo. Sono i frutti delle buone campagne sensibilizzatrici e dei veti ragionevoli. Ciò che prima si tollerava come parte del costume, oggi lo si percepisce in tutto il suo pregiudiziale fastidio.

Chiaro che l'assenza di fumo da sigaretta non risolve le quantità di polveri ed esalazioni che da altre fonti raggiungono l'organismo, ma è già qualcosa in meno.

La verità è che non ci sta risultando facile porre rimedi alla nostra inquinante civiltà. Purtuttavia, seppure con tempistiche ritardatarie, alcune nazioni cominciano ad andare ai ripari attraverso normative atte a contenere e diminuirne gli effetti. In pratica siamo agli esordi, ma ne siamo coscienti. Siamo coscienti circa malattie dei tempi moderni, alimentate o incoraggiate da smog e stress. Sappiamo pure che se si vive o si lavora in certi luoghi, ci si espone di più. Gli abitanti di Milano o Londra, i Tarantini che respirano accanto all' Ilva, per esempio, sanno della loro fuligginosa realtà.

Essere resi coscienti di certi pericoli non è un optional, ma un diritto umano, che favorisce operazioni di difesa personale e collettiva più aderenti alla realtà, ergo: più efficaci.
Spesso questo diritto ci viene negato. Ogni epoca ha sfornato dei “taluni” che hanno sortito oscuri vantaggi anestetizzando la pubblica opinione circa i pericoli su di essa riversi.

Pensiamo alla tragedia della centrale di Fukushima. I mass-media italiani ci hanno fatto una narrazione molto meno drammatica di quanto abbiano fatto, per esempio, i mezzi d'informazione tedeschi. Troppo minimizzanti i primi o sospintamente allarmisti i secondi?

Non lo so. Ma se penso alla vicenda su cui mi appresto ad argomentare, mi azzarderei ad affermare che non sarebbe la prima volta che lo Stato Italiano nasconde ai suoi cittadini la reale drammaticità di certe situazioni.

Esiste un sito dagli accesi colori mediterranei, privo d' industrie e dall'aspetto apparentemente incontaminato, dove da alcuni decenni, persone e animali nascono con malformazioni, muoiono di tumore, in preoccupanti proporzioni. Gli Organi competenti non si sono mai sognati di “informare, di allertare, di render coscienti” queste genti circa le probabili cause.
Una parte importante di decessi ha riguardato allevatori, pastori di pecore e di capre, mandriani; persone che vivono all'aria aperta, in campagna, fra i boschi, e si dissetano ad acque sorgive.

Protagonisti di questi non più misteriosi fatti sono gli abitanti di un grappolo di paesini distribuiti in un'area che include parte della provincia di Cagliari e dell'Ogliastra (zona centro-sud orientale della Sardegna). Questo territorio, da più di 50 anni, ospita un poligono di addestramenti militari.

Non intendo narrare ordinatamente fatti che sono alla portata di tutti (in internet sono presenti valide descrizioni), bensì esprimere delle considerazioni in ordine sparso.

Il poligono interforze di Perdasdefogu – Salto di Quirra, creato nel 1956, comprende un'estensione di circa 12.700 ha e include 2.000 ha di mare. Il sottosuolo è caratterizzato da intrecci di caverne abitate da specie endemiche di elevato interesse scientifico, come il tritone sardo. In superficie vi pascolano migliaia di capi di bestiame. Un luogo decisamente più consono a parco nazionale che a simulazioni belliche. Quivi, oltre all'esercito italiano, eserciti di altre nazioni e ditte private (di armi), testano - a pagamento - i loro... prodotti.

È su quella spettrale presenza che si è progressivamente concentrata l'attenzione delle popolazioni autoctone, dando corpo a un cupo presentimento: le operazioni del poligono coincidono colle numerose malformazioni e morti, altro modo inspiegabili.

Non è stato facile, per chi in questi anni ha voluto sondare la verità, aprirsi un varco tra i comprensibili timori indigeni, le minacce senza volto, la vigliacca omertà delle istituzioni isolane e d'oltremare, tra il silenzio dei Vescovi sardi (un intervento in verità c'è stato – a mio parere insufficiente - da parte del Vescovo di Lanusei). In mezzo a tanto silenzio, un enorme merito va a quei gruppi di cittadine e cittadini che con coraggio e alto senso civico hanno dato voce al problema: sensibilizzando, infrangendo tabù, rischiando di persona, esigendo analisi accurate su persone, terreni, falde acquifere, suolo marino, atmosfera, mandrie, greggi.

Le insindacabili prove apportate dalle meticolose indagini del magistrato Domenico Fiordalisi, hanno coronato i tanti sforzi “remati controvento”, rivestendo di certezza ogni sospetto.

Chi salirà sul banco degli imputati? Molti, m'illudo molto ingenuamente, ma tutti congiungibili al titolare di turno: il Governo italiano. Chi, se non il Titolare, avrebbe autorizzato le esercitazioni in tutti questi anni? Chi, se non il Titolare, avrebbe approvato collaudi dagli effetti oltremodo devastanti? Chi, se non il Titolare avrebbe autorizzato l'interramento indiscriminato di rifiuti bellici? Chi, se non il Titolare, avrebbe dovuto avvisare la popolazione (civile e militare: anch'essa conta dei morti) circa l'alta pericolosità delle azioni svolte? Chi, se non il Titolare, in sommissione a più forti Alleati, ha disposto dei territori sardi alla stregua di una tenuta di caccia, deturpando a piacimento Fogesu-Quirra, Teulada (7.200 ha), Capo Frasca (1.400 ha), Decimomannu, La Maddalena (dismessa nel 2008 ma con persistenza di reliquie tossiche) ?

È gravissima la responsabilità del Governo Italiano. Silenzi, omicidio, tanto denaro, atti anticostituzionali : infrazione dei Diritti Umani.

Un'azione di così ciclopica portata, in altri luoghi e con altre sensibilità avrebbe avuto una risonanza tale da far cadere - con ragione -  lo stesso Governo. 

Perché a Taranto, a Milano, a Londra, i cittadini “sono coscienti” dei loro veleni. In Sardegna no; fino a qualche tempo fa, no. Il Titolare di turno non ha mai considerato opportuno farlo presente, e ha ostacolato chi ha avuto il valore civico di arrivare alla verità. Il“segreto di Stato” (macabro eufemismo) imponeva omertà, privando all'autentico Stato (i cittadini) il diritto di “prender coscienza” e di decidere, sovranamente su scelte così ravvicinatamente dannose.

Forse a suo tempo anche gli enti locali furono un po' remissivi, ignari della gravità reale, illusi magari da possibili vantaggi o da chissà che cosa. I dati per prevedere i futuri disastri, a onor del vero, v'erano anche allora, seppure in forma ridotta e confusa.

Ma alle generazioni attuali non sono imputabili le concessioni di allora ad opera delle autoctone amministrazioni, le quali, reitero, credo ignorassero la portata reale delle concause in gioco.
Si può poi immaginare come la pressione del Governo italiano (e non solo), mirata alla selvaggia militarizzazione dei territori sardi, non fosse così facilmente respingibile. Anche se...

… c'è una storia bella e a buon fine in mezzo a questa saga di soprusi, che seppure in breve val la pena raccontare. Potremmo titolarla: “Il Cosciente Rifiuto di Pratobello” (1969). Ne sono protagonisti gli abitanti di Orgosolo, paese ingiustamente ricordato dalle cronache italiane sempre e solo per altri fatti. Gli Orgosolesi seppero opporsi alla decisione di militarizzare i loro pascoli, i loro boschi, le loro sorgenti. Tutta la Popolazione, unanimemente, decise che le basi militari non avrebbero deturpato i propri spazi vitali. Fece fronte, compatta e non violenta, all'azione dello Stato. Ed ebbe la meglio!

Brillante esempio di sana sovranità in pro della salvaguardia di... casa propria.

A distanza di anni, i “fatti (o moti) di Pratobello” ( felice episodio nella storia della Nazione Sarda ), attestano con forza come di fronte alla decisione di una Comunità, coesa attorno ad un obiettivo di alta valenza civica, ogni ostacolo diventi cedevole.

Sono consapevole quanto l'argomento sulla militarizzazione dell'Isola sia lungo e intricato, a tal punto che, se ci si distrae un po', qualche prestigiatore di parte potrebbe tramutare i lupi in agnelli; o meglio, in difensori degli agnelli: “Amati cittadini di questa terra antica, bella, selvaggia ed incontaminata (!!): sì, è vero, la vostra aria s' è un po' appesantita, ma per il bene comune. C'è di mezzo la salvaguardia della democrazia e voi siete protagonisti di tutto ciò, il punto più strategico di difesa nel Mediterraneo. Siatene fieri! L'Europa loda la vostra ospitalità e abnegazione nell'accogliere questi centri di difesa legittima (sacrosanto diritto) del (satollo) mondo civile. (In qualche parte dovranno pur ergersi questi benedetti laboratori di... pace!). Vi state immolando per una nobile causa! Siete sempre stati bravi in questo: silenti, mansueti, sacrificali ; così ci piacete! Ma dai, ma cosa pensavate !? Le basi tra l'altro vi offrono posti di lavoro... ricchezza !! E le terre, le coste e i mari sono più protetti dagli scempi! La gestione del vostro territorio è un dovere che ci siamo presi con serietà ! Eppoi a voi piace far gestire le vostre cose ad altri: vi dà sicurezza. Su, buoni, tornate a dormire. Lo Stato vi apprezza ed è presente, vigile. Viva la Repubblica!! Viva la fierezza sarda!! Fortza paris !! Gai siat!”.

Quante volte discorsi simili, mimati con viscida solennità ci hanno lasciati "contenti, fieri e... coglionati?". Tante. Perché in effetti l'argomento in corso è ben attorcigliato, tergiversabile, e può essere impostato da molteplici prospettive capaci di offuscarne i punti nevralgici, non negoziabili. Soltanto un'impostazione etico/morale, a mio avviso, riesce a mantenere costantemente in luce le tonalità essenziali e ad offrire argomenti non raggirabili.

In base a quanto appena espresso, analizzo qualche aspetto della vicenda.

Alcuni affermano che le basi militari in Sardegna portino benessere economico. Non risulta ridicolo e fuorviante classificare in tal modo irrilevanti introiti per una quantità infima di popolazione, enormemente-inversamente proporzionali alla devastazione ambientale, alle perdite di vite umane e all'umiliante menomazione della sovranità territoriale ?

Chi è che in affari spenderebbe €100.000 al giorno, per ricavare € 0,01 al mese ?! Nessuno. Perché noi sì ?

Ma se si va a fondo della fonte dei conclamati fantomatici guadagni, si può ben affemare che non troverebbero ragion d'essere nemmeno se per assurdo tracimassero l'erario dell'intera Isola.

Perché basare un'economia attorno ad una struttura – diciamocelo pure – di morte, è azione che di etico e di morale ha ben poco. Tutti sappiamo che il Poligono è un circo privato per occulti giochi di guerra. Un enorme teatro affittato dal Governo Italiano (sarà incluso nel prezzo anche il segreto delle operazioni?) per provare non aratri o mezzi da movimento terra, ma armi; quelle vere, quelle che devono, per logica, distruggere cose, case e... uccidere le famiglie che ivi abitano.

Armi da impiegare in guerre consumate in Paesi (erroneamente chiamati) sottosviluppati: unici destinatari delle moderne azioni belliche. Sono i giovani, le giovani, le adolescenti, gli adolescenti, gli anziani, le anziane, le bambine e i bambini di quei luoghi le vittime anonime di cotanto armeggiare. Lo sappiamo tutti.

D'accordo: la guerra è un affare sporco, ma necessario! Chi ci difenderebbe dai minacciosi Emergenti [i Paesi del terzo mondo] che serbano rancori bellicosi fra loro e su di noi?”. Già: chi ci difende da chi porta armi coi nostri stessi marchi di fabbrica? Anche questo lo sappiamo tutti.

È inammissibile farsi complici indiretti dei “signori della guerra”, di questi ignoti ma operanti individui capaci di alimentare pretesti bellici fra Paesi pur di “vendere; che lucrano voracemente a scapito di porzioni di Umanità considerate carne in sovrappiù , “ stimate come pecore da macello” (Salmo 43, 23) . Quest'abusata e interessata produzione di armi, non sarà mai compatibile con niente che rechi in se' aneliti di vita, di crescita, essendo causa di ulteriori disagi tra i deboli della Terra (“impedisce di soccorrere le Popolazioni indigenti”. - CCC, n.2315)1.

Ecco il vero volto delle attuali guerre: “conflitti confezionati in fabbrica per gli Ultimi”. La gravità etica e morale di tutto ciò, è altissima.

Solo per questi motivi, i Vescovi sardi all'unisono, come “ simbolo di una Chiesa che interferisce” (don Luigi Ciotti) 2   nel non negoziabile, come Pastori che si frappongono tra il Gregge e ciò che lo minaccia , avrebbero dovuto mettere il grido al cielo! Il termine "vescovo" (dal greco epìscopos) significa appunto: custode, supervisore, protettore, pastore "che guarda a una a una le sue pecore, le rispetta e chiede rispetto per loro"  (Pino Goisis, "Agorà tra Fede e Laicità" - "Vescovi, non funzionari" - , Fonte Avellana, 19-21 aprile 2013 ).
Non riesco a capire cosa abbia impedito loro di esprimersi con decisione. Supportati da quel Vangelo che è fondamento, culmine e superamento, nella carità, dei valori etici e morali fondanti la vita umana. Supportati da quel Vangelo che è... "segno di contraddizione" (vangelo secondo Luca 2, 34).

Qualcuno potrebbe obiettare che anche la dottrina cattolica ammette la legittima difesa. È vero (cf. CCC, n.2308 ; Gaudium et Spes3, n.81). Ma dopo mille ricorsi previ. La piattaforma inamovibile è che “la vita è sacra” (CCC, n.2258), inclusa quella dei cittadini attigui ai Poligoni di Stato. Eppoi la difesa armata come “extrema ratio” è supportata da un rigoroso substrato etico circa i motivi reali, i popoli coinvolti, i prigionieri (cf. ivi, nn. 2309.2313-2314). Fermo restando che la guerra rimane una “antica schiavitù”(ivi, n.2307) da scongiurare con ogni mezzo (cf. ivi, n.2308).

I pronunciamenti del Magistero cattolico negli ultimi 90 anni, hanno fatto maturare notevolmente la coscienza cristiana di fronte alla guerra, eliminando del tutto il concetto di "guerra giusta" a favore di una proporzionata legittima difesa. Papa Benedetto XV, agli albori del XX secolo, parla di: “Abbandono della guerra […] diminuzione progressiva degli armamenti” (Nota ai capi dei popoli belligeranti, 1° agosto 1917). Numerosi gli appelli di Pio XI e Pio XII : " Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra" (Radiomessaggio di papa Pio XII rivolto ai governanti e ai Popoli nell'imminente pericolo della guerra, 24 agosto 1939). Una frase forse oggi scontata, ma non quando venne pronunciata :  impopolare, fuori coro e inascoltata, soffocata dalle  martellanti campagne propagandistiche dei Governi, protese ad eccitare l'euforia bellica dei cittadini.

Un'indubbia pietra miliare è la Lettera Enciclica di Giovanni XXIII, “Pacem in terris” (1963), che denuncia: “Come nelle comunità […] più sviluppate[...]si continuino a creare armamenti giganteschi […] ; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche [vengono] sottoposti a sacrifici non lievi" (n.59). Da notare come l'ultima affermazione("gli stessi cittadini [...] vengono sottoposti a sacrifici non lievi") collimi coll'argomento in questione. Il Documento richiama poi all'uso corretto della ragione, dal quale non può che scaturirne  disarmo progressivo/integrale ( cf. nn. 60-63).

Il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962/65), nella “Gaudium et Spes” condanna a chiare note “l'inumanità della guerra” (n.77) ribadendo che “il progresso delle armi scientifiche [incluse quelle testate nei poligoni nostrani] accrescono l'orrore e l'atrocità della guerra” (n.80).

Paolo VI e Giovanni Paolo II riesprimono in termini radicali i pronunciamenti del Concilio. Nell'accorato appello di Paolo VI lanciato dalla sede delle Nazioni Unite nel 1965 (“Non più la guerra! non più la guerra!”), si condensò un insindacabile discredito verso ogni tipo di conflitto armato. Un grido che il Papa espresse ripetutamente e in vari modi durante il corso del suo pontificato.

Giovanni Paolo II, instancabile sostenitore del disarmo totale, fece suo l'appello di Paolo VI: “Mai più la guerra!” (Angelus del 16 marzo 2003). Il suo lungo mandato petrino fu lastricato da numerosi interventi contro gli armamenti e i conflitti. Alcuni di essi (di questi interventi) si esplicitarono in concreti interventi. Penso alla febbrile attività della Diplomazia Vaticana per la cessazione del Conflitto del Beagle (1978-1984), dei Balcani (1991-2001), della Guerra del Golfo (1990).
Lapidaria fu l'affermazione del Papa nel discorso di Coventry, il 30 maggio 1982: “La guerra dovrebbe appartenere al tragico passato, alla storia; non dovrebbe più trovare posto nei progetti dell'uomo per il futuro”

Bendetto XVI ha ripreso il grido dei suoi Predecessori, per niente assimilabile a mero slogan religioso/pacifista, inequivocabilmente intriso dell'inscalfibile dignità di ogni persona : “Mai più la guerra!” (Assisi, 27 ottobre 2011)

Alla luce di tutto ciò: siamo così sicuri che l'uso indiscriminato dei poligoni (in Sardegna e nel mondo) risponda alle reali esigenze della legittima difesa? Ne dubito. Forse che la compravendita in armi sarebbe troppo poco redditizia per reggere un mercato di sole, essenziali e rigorosamente regolamentate difese nazionali? Penso di sì.

E in chiusura... la buona notizia. Il Governo Italiano ha stanziato € 25. 000.000 per dare il via alla bonifica dei poligoni di Quirra, Teulada e Capo Frasca, pari a “75 milioni complessivi” (comunicato stampa del Sindaco di Villaputzu) per il triennio 2013/15. Lo stesso comunicato - che stima in 500 milioni l'ammonto necessario per una bonifica ben fatta (non me ne indento, ma mi paiono ancor pochini!) - riconosce la positività del primo passo dato. Apprendo inoltre, circa l'inizio dei lavori, previsto in gennaio 2013.

La conoscenza dell'attuale corso dei fatti mi svanisce, e ingenuamente mi chiedo se i lavori siano iniziati nella data fissata e... cosa significhi in concreto “bonificare” : vuotare il portacenere una volta per tutte ?

A poco varrebbe spegnere una sigaretta per accenderne un'altra. Si volterà pagina solo quando le macabre simulazioni (che simulazioni non sono) apparterranno definitivamente “ al nostro tragico passato, senza più trovare posto nei progetti delle generazioni attuali e di quelle future” 4.

("Tutto ciò che è sottratto agli armamenti per aiutare i Popoli sottosviluppati, è già un cammino..." - Giorgio la Pira) 

                                                                                                             Ignazio Cuncu Piano

Catechismo della Chiesa Cattolica
2  Mario Lancisi, “Il Vangelo contro la Mafia”, Piemme, 2013, prefazione.
Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 1965
4  La frase, da me adattata, è la medesima di Giovanni Paolo II riportata più sopra.

POSTILLA (09 settembre 2013).

Come ulteriore segno di maturazione del magistero ordinario,  riporto alcune parole di papa Francesco tratte, sia dall'omelia nella veglia per la pace in Siria, lo scorso sabato c.m. (“abbiamo prefezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci”) che dall'Angelus del giorno seguente (dire no alla violenza della guerra in tutte le sue forme, dire no alla proliferazione delle armi e al loro commercio illegale […] ; sempre rimane il dubbio [ che le diverse guerre che si combattono siano un pretesto] per vendere queste armi nel commercio illegale”), il cui raggio morale mette in questione amche le dubbiose operazioni nei poligoni nostrani.

domenica 12 maggio 2013

BEN OLTRE GLI ALLORI - (dal blog: UNCOMUNECITTADINO, 12 maggio 2013)

Giorni fa mi è sorto il desiderio di rimembrare, aiutandomi con qualche youtube appropriato, le vicende che videro come protagonisti: il Cagliari, Gigi Riva, i suoi compagni di squadra e il popolo sardo. Mi soffermai più che altro su una registrazione che raccontava questa sorta di epopea, su un filo conduttore tracciato dallo stesso ex calciatore. Non nascondo d'esser stato toccato emotivamente, poiché, seppure piccolo all'epoca, le emozioni dello scudetto e delle prodezze del “goleador”, le potei respirare tutte attraverso l'entusiasmo generale degli adulti chi vivevano intorno a me.

In questa “intervista-documentario”, Gigi Riva parte dagli inizi, nel suo paese d'origine: Leggiuno. Ne rimarca l'infanzia, l'adolescenza e la gioventù segnata dalla prematura morte dei genitori, dagli anni cupi trascorsi in un collegio-internato caratterizzato da una severità fuori luogo, dalle varie circostanze difficili che colpivano i bambini orfani e poveri degli anni '40 e '50. Drammi che ne segnarono l'esistenza, il carattere; drammi che col tempo si son trasformati in saggezza ed empatia con chi soffre. Drammi che nemmeno l'esuberante carriera professionale è riuscita a colmare del tutto, se quasi alla soglia dei settant'anni, quest'uomo  sente ancora di dover dichiarare: “Sarei disposto a rinunciare a molte glorie che la vita mi ha offerto, per un'infanzia diversa”.

Ma a volte la vita è bene guardarla al contrario, o al rovescio se si vuole. Si, al rovescio, come le magliette che a volte indossano alcuni giovani. Eh sì, perché a volte, guardando la vita al rovescio, si possono scorgere svantaggi che si trasformano in... vantaggi. E io credo che  nel giovane Gigi Riva, quella perfetta simbiosi tra carriera calcistica, legame affettivo e identificazione quasi-etnica con un popolo popolo che come lui era segnato da una storia umiliata e sofferente, sia sorto proprio dal desiderio di trovare, insieme a questo popolo che ha saputo capirlo, amarlo e rispettarlo, il rovescio di questa comune storia di sofferenza.

È per questo motivo che la  storia di Gigi Riva è molto più di una brillante carriera calcistica. ed è per questo motivo che la sua storia porta il sapore originalissimo di quegli avvenenti che sanno smentire i tradizionali (e a volte banali) sillogismi così come la filosofia aristotelica ce li ha insegnati: “Il giovane calciatore varesino è più che promettente; e siccome si muove nella geografia dei grandi club calcistici del nord Italia , ergo: una di quelle squadre sarà la sua naturale culla di glorie!”.

Mentre invece... niente di tutto ciò, anzi il contrario! Il rovescio. Un rovescio inizialmente offerto dal caso (non fu lui a decidere di approdare nell'Isola, anzi...!), ma poi: un rovescio fatto proprio da una serie di decisioni personali e umanamente vincenti.

Ma torinamo a un po' di cronaca. Nel '63 viene acquistato dal Cagliari e ivi approda, con la forte (ma non profetica) percezione di non rimanerci troppo a lungo su quel lido così lontano dall'Italia, con un prato da gioco evanescente, più simile al poco distante deserto sahariano, che a un tappeto calcistico dovutamente amministrato.

Forse, a pensarci adesso, sono proprio questi umili esordi che, per la paradossale legge del contrasto, daranno più enfasi ai trionfi ottenuti in seguito e all'attaccamento affettivo ed effettivo verso la squadra e le genti sarde. Perché non v'è gloria più sentita che quella costruita dal basso, dall'umile (e umiliato) substrato, contro venti e maree, senza che nessuno ti regali niente. E nel Cagliari di quei tempi, di umile c'era proprio tutto: la condizione della squadra, il Popolo che le faceva da cornice, il già menzionato campo da gioco, il carattere di quel giovane lombardo appena sbarcato. E i legami più veri e duraturi, solitamente, portano il marchio di quell'umiltà che nasce dalla dignità e produce dignità.

Conosciamo tutti gli sviluppi di quel sodalizio che ebbe come apice agonistico lo scudetto del '70, ma che in termini umani ha superato di gran lunga le glorie calcistiche.

Così, in quegli anni, si scrissero forse i tratti più salienti della storia di una squadra che seppe ascendere le vette calcistiche grazie ad un felice amalgama che faceva perno senz'altro nella genialità di Riva, ma anche nella saggezza degli allenatori (si pensi a un Manlio Scopigno) e nell'affiatamento e professionalità degli altri giocatori, malgrado arbitri disonesti, spesso senza troppo nascondere, durante le partite favorissero le grandi squadre del nord. Ma il Cagliari era diventato una "grande squadra". E l'evidenza, si sa, non è un opinione, e  non la si può nascondere. Non è un caso che in quegli stessi anni l'organico della Nazionale azzurra integrasse diversi giocatori Rossoblu.

Ma torniamo a Gigi Riva. Ci sono aspetti nella personalità di quest'uomo che per la loro peculiarità fanno da controluce allo scandaloso mercanteggio dell'odierno calcio. Mi riferisco a quegli storici rifiuti opposti alle insistenti e insinuose proposte dalle grosse società calcistiche di allora. Molti ricorderanno l'umiliante paradosso a cui sottostette l'Inter, che offrì (senza esito) cifre esorbitanti pur di acquistare quel giocatore che qualche anno prima essa stessa aveva scartato in un provino (Riva giocava ancora nel Leggiuno).

Che effetto farebbero, oggi, nel mondo del calcio, quei “signorili rifiuti” da parte di un giocatore, che potendo toccare tutti i cieli con un dito, scarta la possibilità di tracciare la propria carriera nelle più quotate Associazioni calcistiche italiane ed europee dell'epoca?

Sappiamo bene che la decisione di rimanere “nel Cagliari e a Cagliari”, va ben oltre il fatto sportivo e la fedeltà alla squadra, ma soprattutto a un popolo che lo ama in maniera così congeniale al suo carattere, s'inquadra in una fedeltà dalla semantica quasi sponsale: “nella buona e nella cattiva sorte”. La squadra del capoluogo sardo ha attraversato infatti vicissitudini diverse: fase ascendente, scudetto, fase di alti-bassi e fase discendente. Soprattutto in fase calante, chissà, un giocatore del suo calibro avrebbe potuto benissimo maturare l'idea di congedare i Quattromori. Non sarebbe stato difficlile imbastire una più che sacrosanta motivazione: “Carissimi: vi ho dato anni della mia carriera, della mia bravura. Non eravate nessuno: vi ho portato alle stelle. Ora lasciatemi seguire i miei sogni sotto altri riflettori. Ne ho pur diritto, non vi pare?”.

Sono quasi sicuro che se così fosse andata, il popolo sardo avrebbe rispettato con riconoscente nobiltà le decisioni di questo figlio adottivo. Chi avrebbe potuto sindacare simile argomentazione, in cui il nobile altruismo cede passo a lecite esigenze personali? Insomma: un “arrivederci e... non ringraziatemi: è stato bello anche per me...!”

Invece no. Quelle frasi non ci sono mai state e la decisione fu altra.

Tutto ciò, reitero, porta sapore di una scelta che non si limitò alla sola gloria - quella gloria che viene e che va! - ma che mise sulla bilancia altri aspetti, altre esperienze fatte “fuori campo”. Quali? Non so: penso forse all'ospitalità sincera, umile, dal tono familiare e un po' ingenua che spesso manifestiamo noi Sardi verso i forestieri. Quell'ospitalità generosa che sa dare molto, troppo o tutto di se': nell'abbondanza e nella restrizione. Quella stessa ospitalità che a volte si fida troppo e, a volte, rischia di essere fraintesa, abusata e manipolata da ospiti col sorriso di gomma e dal cuore ingordo, come c'insegnano alcuni episodi della nostra storia.

Nel caso di Gigi Riva quell'ospitalità trovò terreno buono: collimò con un “cuore nobile alla ricerca di sentimenti nobili”, come, per esempio, l'affetto di una famiglia. La famiglia frustrata dalla prematura moorte dei genitori. E malgrado l'affetto di una sorella che gli fece da madre, nel profondo del suo animo, quel bisogno di famiglia era ancora un vuoto da colmare. E quel vuoto - chi l'avrebbe mai detto? - si stava in parte colmando perché - o che cosa strana! - un... popolo lo stava... adottando: “Si creò dentro di me un punto d'appoggio importante; c'era il pescatore che […] ti portava a casa sua, ti faceva mangiare con i suoi figli, ti trattava come un parente. E lì pian pianino mi sono accorto che mi stavo appoggiando ad una Regione, ad una città che mi stava dando una seconda famiglia”.

E di famiglia - come già rimarcato - quel giovanotto prematuramente orfano e lontano dai luoghi e dagli affetti natii, ne sente forte bisogno; come tutte le persone dai sentimenti sani, del resto.

C'è forse un altro aspetto che ha fatto buon gioco a questo spontaneo connubio: la custodia della riservatezza. Un Popolo riservato che tutto sommato seppe rispettare e... custodire la riservatezza e privatezza di un uomo al quale volle e vuole bene. Un Popolo che seppe rispettare e custodire la riservatezza di un uomo che dà molto rilievo a quest'aspetto.

Una simbiosi creatasi spontaneamente tra un ragazzo riservato (e forse un po' introverso) ed un Popolo riservato (e forse un po' introverso). Una simbiosi che forse ha fatto scoprire a questo giovane del lontano nord, un affetto lietamente "strano" (nel senso di: diverso, altro) verso una terra e una Gente dignitosamente... strana (nel senso di: diversa, altra). Sì, strana, cioè diversa, come lo è un artista fertile di geniali novità, come lo è (per fortuna) ogni persona, come lo è ogni entità dalla forte identità-personalità propria. Quella diversità che noi Sardi (per il susseguirsi di pilotate e artificiali pressioni ideologiche e politiche che ci fanno essere ciò che, in realtà, non siamo) autopercepiamo in maniera confusa e tossica, passando dallo sterile euforismo circa una sardità per niente fondante, allo scimmiottamento dell'alterità al peggior stile "copia-incolla". È con quest'atteggiamento schizofrenico che molti Sardi hanno vissuto l'euforia dello Scudetto.

Chissà! Che forse quel giovanotto scelse di farsi adottare da questa "strana Isola", proprio perché seppe cogliere più di noi (con quell'obbiettività che a volte favorisce chi osserva "dal di fuori") quelle sottili linee di identità che innobiliscono la personalità del nostro Popolo, ma da noi percepite - per quel perverso e  non casuale gioco di specchi cui sopra - come "marchio di inferiorità"? 

Mi rendo conto che fin'ora ho evocato l'epopea di Riva in modo forse troppo scevro da punti grigi. Senz'altro ce ne sono stati. Una storia non è mai del tutto rosea.

Anche allora per esempio esistevano aspetti soggetti alla polemica. Penso ai conflitti di opinioni scaturiti alla vigilia della costruzione del nuovo stadio, in una Cagliari che aveva urgenza di certi servizi primari (come un nuovo ospedale, a detta di molti). Penso alle polemiche sulll'appoggio economico offerto dalla Regione alla squadra Rossoblu. Penso alla stessa retribuzione del Nostro, ingente se proporzionata ai tempi.  Penso allo zampino dei vari Moratti, Rovelli, nefasti Feudatari della Sardegna di quei tempi. Fomentando l'euforia sportiva, i loro velenosi affari (velenosi in tutti i sensi) fruiti dai mostri chimici collocati nell'Isola (costruiti coi soldi dei Sardi), si sarebbero ingraziati  un po' più di bonomia popolare. Anche per la fiammante Nazione (con tanto di "dogana razziale") adiacente alla Sardegna, ribattezzata "Costa Smeralda" (il suo vero nome è "Monti di Mola"), lo Scudetto avrebbe significato una prestigiosa reclame. Penso ai problemi personali che, immagino, può aver avuto Riva nella vita personale.

Ma al di là di tutto ciò, il rapporto tra quest'uomo timido e l'Isola ha saputo collocarsi molto oltre i confini contrattuali, divenendo così una storia fatta di di calore umano e non di compravendita mascherata da sorrisi di gomma.

Ed è proprio quest'ultimo aspetto che la rende: bella, nobile e ancor oggi non appassente.

                                                                                                     Ignazio Cuncu Piano