sabato 1 settembre 2012

LINGUA SARDA: PER UNA MAGGIORE APERTURA...

La nota frase “abbiamo fatto l'Italia, ora dobbiamo fare gli italiani” attribuita al d'Azeglio, dimostra come, fino a non troppi anni fa e tranne alcune eccezioni, gli Stati non nascevano dalla volontà sovrana dei popoli. Si trattava di istanze politiche/territoriali/culturali e spesso religiose, imposte dall'alto. Praticamente il popolo “subiva” quella nuova realtà politica. Così fu per l'Italia. Un'Italia unita sulla carta, ma articolata in un mosaico di identità a sé stanti. È in tale contesto che s'inserisce la presunta frase del d'Azeglio.
Un aspetto su cui si fece particolarmente perno per favorire il compattamento neo-nazionale, fu quello della L(lingua). Ovvia la ragione. Una L è molto più che un modo specifico di esprimersi. Racchiude la storia, la mentalità(quindi la cultura, cioè il modo d'interpretare la vita nei suoi molteplici aspetti), soprattutto se(la L) nasce nel popolo che ne fa uso. Proprio per questa ragione, l'estensione(leggasi imposizione)della parlata nazionale alle varie realtà regionali significò più o meno un trauma per la Sardegna, la quale, nel nuovo panorama, portava fattori etnici più diversi. Totalmente altra dalla realtà peninsulare, con una storia, cultura, L propria - tali da caratterizzarne una vera e propria identità nazionale - dal momento dell'annessione(all'Italia)è sottomessa ad un sistematico esproprio linguistico. Non fu certo la prima volta che una L esterna invadeva l'Isola. Non si può non ricordare, p. es., la latinizzazione che estinse la precedente parlata, anche se poi non ne ostacolò la nuova sintesi autoctona. Da quel momento in poi, la LS(lingua sarda), nata nel popolo e in questi radicata, è riuscita a sopravvivere in mezzo alle tante altre sopraggiunte nell'Isola.
Ma l'imposizione violenta della LI(lingua italiana) sopra accennata fu(ed è)la più capillare. La scuola diventò luogo privilegiato di forzatura psicologica sui bambini che usavano la LS come L madre(penso alla simile sorte riservata agli scolaretti quechua-parlanti del Sud America, costretti a ripudiare la propria L a costo di umilianti castighi). Non si sta parlando di tempi troppo remoti: basta essere poco meno che cinquantenni per ricordare con che severità certe/i maestre/i reprimevano gli alunni che esternavano espressioni autoctone. Il sillogismo (contorto!) era... lineare: per parlare bene l'italiano si doveva evitare il sardo che, per contrapposizione, diventava una lingua grammaticalmente e morfologicamente... errata. Ché dico lingua? di dialetto si parlava!
Un dialetto sbagliato, messo alla berlina perché sinonimo di arretratezza e chiusura. Chi vuol avere esito professionale deve metterlo da parte. E fu così che molti dei nostri genitori, più o meno dalla seconda metà degli anni '50 in poi(in buona fede certo, come i/le maestri/e del resto)cominciarono a comunicare in LI coi figli, per garantire loro un futuro migliore. L'avvento della televisione fece(e fa) il resto.
Com'è la situazione attuale? Fortunatamente assistiamo ad una nuova presa di coscienza che, almeno in teoria, ha saputo confutare quei falsi(a noi noti) luoghi comuni creati attorno alla LS. Ma la teoria, seppure utile, a poco servirà se la L non verrà incrementata nell'uso quotidiano. Ci sono tre aspetti(fra altri) che darebbero forza ad un suo ritrovato protagonismo:

1): la volontà politica. La Regione, ehm... Autonoma(!)mettendo da parte quell'immobilismo causante tanti svantaggi(oltre al devastante-remissivo-servilismo oltremare)deve favorire con decisione l'insegnamento sistematico della LS nelle scuole(inclusa la scuola materna), alla pari dell'italiano e altre lingue. C'è di più: i politici stessi dovrebbero parlare in sardo negli ambiti dei loro uffici, allo stesso modo dei più decisi colleghi catalani o baschi, per intenderci. Fin'ora abbiamo assistito solo a dispendiosi progetti, decollati forse, ma mai atterrati.

2): la scelta degli intellettuali. Gli intellettuali sardi dovrebbero giocare fino in fondo la carta della LS. Utilizzarla sempre, o per lo mano, alla pari dell'italiano: 50 e 50. Come? Parlandola e scrivendola. Pubblicando le loro opere in “limba”. Qualcosa già si sta muovendo. Esistono opere letterarie(anche di autori stranieri)in LS. Penso a “Lèbius ddoi passamus me-in sa terra” di Sergio Atzeni, o “Cronica dae una morti annuntziada” di Garcìa Màrquez. Felicissima al riguardo, la scelta dell'Università degli Studi di Cagliari.

3): l'impegno della CCL(Chiesa Cattolica Locale). Fedele agli insegnamenti del (Concilio)Vaticano II, la CCL ha il dovere di dialogare, valorizzare, fecondare e purificare le culture locali e, al contempo, si arricchisce attraverso di esse(cf. Gaudium et spes, 53.58). Nella storia della Chiesa, le culture dei vari popoli sono sempre state il veicolo privilegiato per la trasmissione della fede. la fede è sempre entrata nel cuore degli uomini, nel loro cuore... inculturandosi. Nel nostro caso - nota bene! -  si tratta di una fede vissuta, pregata e trasmessa in LS per quasi duemila anni!
Circa il tema in questione rimando ad altro titolo su questo stesso blog(cf. “LETTERA APERTA AI VESCOVI SARDI”). Menzionata valorizzazione, si trasformerebbe in salvaguardia e crescita culturale per tutti, a prescindere dalle personali scelte di fede.

La determinazione di queste tre istituzioni sarebbe di grande incoraggiamento per i cittadini tutti.
Ma la realtà attuale, a quanto pare, è proprio al rovescio. Sono infatti associazioni culturali, alcuni movimenti politici(con ancora poco peso istituzionale) e singoli cittadini, impegnati a difendere e diffondere la LS e la cultura che porta in sé. Se le istituzioni, come già espresso, potessero accoglierle e trasformarle in efficaci decisioni politiche, staremmo in sella al senso moderno(e primigenio) del termine “politica”.
Ma, per dirla tutta, è pur vero che tra noi sardi non esiste ancora un “quorum” che renda più che palpabile la volontà di... parlare la nostra L. Su questo aspetto siamo stati remissivi fin dall'inizio, non al pari di altre “isole linguistiche”nello stesso panorama italiano. Ed è anche vero che oggi, molti sardi, si vergognano di parlare la loro L, causa quei preconcetti che proprio tale obbiettivo(screditare la LS)perseguivano.
Mi soffermo su due (preconcetti) :

1): L'USO DELLA LS PRECLUDE L'APERTURA VERSO L'ITALIA E IL RESTO DEL MONDO. Niente di più falso! È proprio la rinuncia alla propria L che crea ripiego su se stessi, che chiude. Nemmeno l'insularità... isola, come molti credono (cf. sullo stesso blog: "Isolani o isolati?"). Il riapproprio della L, può facilmente abbinarsi ad un articolato processo di rivalorizzazione della propria cultura, della propria identità. Tutto ciò favorirebbe il felice innalzamento dell'autostima: la coscienza di valere per se stessi, e non perché supportati da un'entità culturale vicaria. Ed è proprio da tale autostima, da questo “sano orgoglio della propria identità” che scaturisce, a mio avviso, un'equilibrata valorizzazione delle altre culture, la capacità e la gioia di comunicare con gli altri popoli, alla pari, arricchendoci ed arricchendo(in termini di cultura e di giusta economia). L'autostima culturale fomenta l'amore verso il territorio, la sua cura, e di conseguenza favorisce la creatività economica, rendendola affine all'ambiente, efficace ed ecologica. Forse pochi sanno che i Friulani, da buoni custodi della propria cultura, delle proprie parlate(quindi del territorio ed economia)hanno ottenuto la personalizzazione dei prodotti col “Made in Friuli”(s'immagini quali vantaggi da un “Made in Sardinia”!). Un popolo sorretto da questo sano orgoglio difficilmente sa farsi “calpestare in casa propria”, come succede - ahinoi! - ai Sardi. Sarà l'ibrido bilico tra due identità malamente mischiate fra loro(l'alterità italiana e la nostra), la causa di quella “schizofrenia culturale” che tanto abbruttisce il nostro esistere?
I popoli ai quali fu usurpato(specie se per mano ispanica)l'humus culturale, presentano in genere aspetti affini: poca autostima, frustrante dicotomia identitaria, isolamento, scarsa sovranità in casa propria, poco stimolo alla creatività, economia mendicante, inadeguata e con devastante impatto ambientale.
Torniamo all'uso corrente del sardo. Nel nostro specifico, usare la LS nel quotidiano significherebbe, automaticamente, parlare due lingue: la LS per l'appunto e la LI. Ormai l'apprendimento della LI è un dato acquisito. Attraverso i media e la massiccia letteratura, questa L viene appresa quasi-spontaneamente. Il “poco sforzo” nell'apprendimento della LI, libera ampie risorse, nell'ambito della scuola, per insegnamento di L altre. Ricapitolando: realtà bilingue(due lingue naturalmente apprese: LS e LI) + : altre L apprese sistematicamente nella scuola = : una notevole apertura linguistica (quasi superfluo ricordare come i popoli bilingui sono maggiormente predisposti ad apprenderne altre. Forse non è casuale che estimatori e promotori della LS a livello locale ed internazionale, siano persone parlanti più L).

2): QUALE VARIANTE USARE? QUAL'È IL VERO SARDO...? Per fortuna gli specialisti hanno superato quest'altra inutile diatriba(la più antipatica secondo me).
Prima di penetrare la questione una semplice premessa psicologica: quando ci si appassiona ad una causa, tutti gli ostacoli diventano pressoché relativi. Quando invece si è demotivati, quegli stessi ostacoli si tramutano in barriere insormontabili! Personalmente credo che il secondo atteggiamento abbia fatto da sottofondo all'approccio di molti verso l'argomento che si sta trattando, trasformando quello delle più parlate(congenite alla LS)nell'eterno insormontabile dilemma. Entriamo nel vivo della questione.
In alcuni casi, per affrontare un problema, può esser di buon preludio... rivoltarlo. Sì, rivoltarlo... da capo a fondo. Osservarlo dalla prospettiva opposta. Applicando al nostro caso questo elementare metodo, potremmo regalarci una piacevole sorpresa: le varietà della LS si trasformano in un... vantaggio, un valore aggiunto, una... enorme ricchezza linguistica!
È questo dato di fatto estremamente positivo che dovrebbe fare da basamento ad ogni salutare iniziativa intorno alla LS.
Come sappiamo, i due rami costitutivi della LS - il SL(Logudorese) e il SC(Campidanese) - hanno pari dignità; nessuna delle due è più o meno autentica dell'altra(altro falso e paralizzante pregiudizio smentito dall'attuale linguistica – cf. Bolognesi Roberto, Heeringa Wilbert, 2005. Sardegna fra tante lingue. Condaghes: Cagliari). E siccome di varianti si tratta(e non di lingue opposte), le similitudini superano di gran lunga le diversità. Basterebbe confrontare in sinopsi uno stesso periodo scritto in SL e SC per accorgersene. Per questa ragione i sardi dovrebbero interloquire in sardo, usando ognuno la propria variante. Sarebbe un inizio interessante, addirittura divertente: un bel gioco. Quando un gioco piace, le incognite ne diventano l'aspetto più stimolante. Immaginiamo un dialogo tra una giovane universitaria di Tonara ed una sua compagna, p. es., di Sestu. Rispettando una prudenziale cadenza pausata, si accorgerebbero che la differenza tra i termini non impedisce la reciproca comprensione. Per quanto riguarda i vocaboli che proprio non si capiscano, sarebbe parte del... gioco, chiederne significato. Un po' come facevano mio padre(agricoltore campidanese)e tziu Peddio(pastore di Desulo): s'intrattenevano lunghi momenti a parlare, in campagna, a discutere sui pascoli, a litigare, eccetera. Quando qualcuno non capiva l'altro, ne chiedeva il significato. Una volta memorizzata la parola,ognuno dei due, per dare celerità al discorso(specie se era animato)al momento opportuno usava il termine dell'interlocutore. Se fu possibile per un pastore e per un agricoltore...!
Un interscambio di questo tipo arricchirebbe ognuno di noi, in breve tempo, di un'enorme quantità di termini nuovi... di nuove espressioni, favorendo un bagaglio linguistico formidabile. Sarebbe un inizio graduale e non toccherebbe suscettibilità circa la rinuncia subitanea delle parlate locali. Più volte ho partecipato a conferenze “in limba”. Le esposizioni dei dissertanti, fatta nelle due varianti (includendo le specificità regionali e paesane: altra-ulteriore-ricchezza!)si sono sempre rivelate esaustivamente comprensibili. L'attenzione e – perché no? - lo sforzo(esiste conquista senza sforzo?)per capirsi, rendeva la conversazione assai più stimolante ed interessante.
Credo che da questo non complicato interscambio parlato e scritto fra tutti i “varianti-parlanti”, possa nascere in forma spontanea, una sorta de LS Koinè, che potrebbe essere, forse, la piattaforma per una L più unificata. Non bisogna aver paura di far, diciamo, mischiare le parlate sarde: ciò che ne verrebbe fuori sarebbe sempre un prodotto... sardo. decisamente meglio delle attuali parlate “sardo ibride”(che personalmente detesto)prodotte dalla massiccia infiltrazione di termini e morfologie italiane.
Altre L presentano simili ramificazioni/diversificazioni: il russo,il castigliano, il quechua, l'arabo, lo stesso inglese; diversità che non impedisce la standardizzazione grammaticale.
E di regole grammaticali bisogna parlare anche per la LS. Quest'aspetto può essere assolto dall'ambito più connaturale: la scuola. Non possiedo idee chiare in proposito; considero però realista e graduale il suggerimento espresso nell'introduzione(e seguenti pagine) di “Arregulas po ortografia, fonetica, morfologia e fueddariu dae sa norma campidanesa”(Comitau Scientìficu po sa norma campidanesa dae su sardu standard campidanesu patrocinau dae sa Provincia dae Casteddu, 2009. Alfa): insegnare la grammatica in accordo con le due varianti. Una volta poste solide basi sulla propria variante, nelle classi superiori gli alunni potranno avere approcci con: morfologia e grammatica di quella opposta(SL per gli studenti dell'area campidanese e viceversa)e – perché no? - un'interessante infarinatura sulle altre lingue dell'isola. Si pensi poi a quante felici iniziative si potrebbero inventare per rafforzare conoscenze:interscambi culturali tra studenti, eccetera. Credo invece che l'approccio letterario possa essere fatto fin dall'inizio con le due varianti.
Non sarebbe realistico chiudere il discorso senza fare menzione alle appena citate L, che sommano “ricchezza alla ricchezza”: il Tabarchino, il Gallurese, il Catalano; e mettiamoci pure “s'Arromanisca” dei ramai di Isili(chi potrebbe essere così culturalmente miope, da non vedere la nostra Isola come un prezioso scrigno stracolmo di variegato tesoro linguistico?).
Anche per queste isole linguistiche vale quanto più sopra espresso: vanno protette ed insegnate nei rispettivi luoghi. Possibile obiezione: un bambino catalano dovrebbe già essere in grado di parlare: LC, SL e LI, alle quali si aggiunga, p. e. , l'inglese et altre lingue? Proprio così. Inserire un bambino, fin dai primi passi, in una realtà multilingue vissuta nel quotidiano e saggiamente articolata dalla scuola: è cosa fattibile... è cosa ottima... è cosa auspicabile. Alcuni miei carissimi amici indiani, fin da bambini convivono connaturati con la loro lingua, con quella delle regioni limitrofe, coll'Indi e con l'inglese. I Paraguaiani che vivono al confine col Brasile parlano: guaranì, castigliano e brasiliano. Molti giovani altoatesini parlano: tedesco, italiano e inglese. Sono molti i belgi che parlano: fiammingo, francese, tedesco e inglese, oltre che, in alcuni casi, i dialetti locali. Molti giovani friulani parlano: furlan, italiano, inglese, francese e, in alcuni casi, qualche lingua slava. Questi solo alcuni esempi.

Non priviamoci della nostra ricchezza linguistica, la quale, tra l'altro, grazie al sano paradosso più sopra argomentato, ci apre ad altre lingue! Non priviamoci di conoscere tutte le nostre lingue (patrimonio dell'umanità)! Ridurci a parlare solo l'italiano in mezzo a cotanta ricchezza linguistica è un suicidio culturale!

La differenza che intercorre tra dismettere la LS (processo attuale, sig!) per incunearci nel solo orizzonte italiano, ed il processo multilingue(fin'ora ipotizzato)ai fini di una sana apertura verso se stessi e i popoli, credo appaia notevole.

Naturalmente il mio è un sogno dall'identità amatoriale(non sono un linguista). Menti specializzate possono disegnare progetti di più sostenuta efficacia. Ma... fateli! Linguisti... Specialisti... Regione Autonoma: realizzateli per favore!

Nel mondo esistono migliaia di lingue: ciascuna racchiude ed interpreta una cultura: vero e proprio patrimonio dell'umanità. Preservare la LS dovrebbe per noi avere anche questo senso: un dovere; uno stimolante dovere verso l'umanità tutta.

Alcuni, inquadrando la nostra L all'interno di un irreversibile processo di estinzione, congedano le tematiche fin'ora affrontate con un laconico e remissivo:“Ormai!”. Valga l'esempio del Popolo Ebreo(ammirabile per la sua millenaria difficile ma tenace lotta identitaria). Oltre a creare una Nazione dal nulla(1948), ha saputo riesumare e, in certo modo reinventare, la propria lingua, praticamente morta.
La LS non è morta. Seppure maltrattata e umiliata, è viva. Salvare questo “patrimonio dell'umanità” ancora si può. Siamo ancora in tempo per omaggiare le giovani generazioni col prezioso bagaglio culturale a nostra volta ricevuto in eredità. Ma sbrighiamoci... il tempo stringe.
                                                                                             Ignazio Cuncu Piano.

La vita è un grande gioco. Giochiamo questo gioco! Non limitiamoci a guardar giocare gli altri. Non contentiamoci che qualcuno giochi al posto nostro”. (cf. Robert Baden Powell)

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