domenica 25 novembre 2012

TURISMO IN SARDEGNA: RICREARE LA RICREAZIONE

TURISMO IN SARDEGNA: RICREARE LA RICREAZIONE.

Ogni tanto su giornali, riviste, aeroporti... mi capita di osservare variopinti frammenti costieri dall'inequivocabile firma. Un invito ad approdare ai nostri lidi. Niente di male un po' di pubblicità. Ma insistere sempre sul mare mi sembra una forzatura, un sovrappiù. Alla stessa stregua di una Venezia che dovesse continuamente ricordarci le romantiche calli d'acqua, ovvero: la sua più ovvia peculiarità turistica.

Che l'Isola sia fornita di coste, spiagge, mare splendido... è noto a tutti. Dovrebbe essere un dato così scontato nella nostra mentalità turistica, da far centrare l'attenzione su aspetti più importanti: quelli che fanno al nostro merito, per capirci. Perché, siamo onesti: quegli splendori naturali sono annoverabili tra i meriti del buon Dio! Mentre nostro vanto sarà, verbigrazia, l'impegno nella salvaguardia di cotanta bellezza.

Nell'Isola, dal suo espandersi in poi, abbiamo assistito di frequente ad un turismo abusato, altamente inquinante: dalla struggente edilizia alla sporcizia tra la vegetazione. Per non parlare poi di certe stravaganti-ripetute menomazioni, effettuate da chi ha la cafona abitudine di strappare souvenir direttamente da Madre Natura. Tutti abusi dovuti - oltre all'inciviltà di chi li commette - alla nostra “lassezza ecologica”. Se fossimo dovutamente esigenti nel rispettare e far rispettare, applicando all'occorrenza proporzionati “iscramentus” (multe a mo' di monito) legali, allora la musica sarebbe altra! Nei luoghi dove il controllo esiste, si può osservare come - oltre alle persone addette - sia la popolazione tutta a vigilare. Si crea così una sorta di “eco-atmosfera” tale, che le persone che che lì villeggiano si sentono gentilmente... controllate (forse il termine non è il più adatto), esortate al rispetto di una porzione del pianeta che - UNESCO o non UNESCO - è patrimonio dell'intera umanità.

E se anche noi facessimo così? I turisti verrebbero più volentieri e più... civilmente selezionati! Perché laddove c'è serietà ecologica, cordialità e prezzi ragionevoli, il buon turismo è vincente. Sì: esiste un turismo serio, amante della natura, della semplicità, dalle esigenze non sofisticate, attento alle specifiche culture dei popoli - quello dobbiamo favorire! - il quale apprezza la trilogia: cordialità, natura ben curata, prezzi.

La salvaguardia ecologica quindi, ai primi posti. Da essa dipende tutto il resto. Che senso avrebbe lucrare avidamente su un mal gestito turismo lasciando deperire, alla fin fine, la stessa fonte di lavoro? Eppure spesso così accade. E il turista se ne va con l'impressione apposta: passiva cura dell'ambiente (molti, al loro ritorno dalla Sardegna, portano l'impressione di : paradisiaci ambienti spesso abbandonati a se stessi, alla mercé del primo malintenzionato...), prezzi esosi, servizio evanescente e a muso lungo. Naturalmente non sempre è così. Laddove curiamo il tutto e siamo cordiali (e quando vogliamo, sappiamo esserlo in maniera singolare), i visitanti se ne accorgono, apprezzano molto... e ritornano ben disposti. Perché si sentono bene, caldamente accolti, messi al loro agio, rispettati e invitati a rispettare.

La vocazione turistica , in fin dei conti, è una missione tutta speciale dove i rapporti umani, più in là delle apparenze, ne costituiscono la piattaforma. In fondo si tratta di un incontro tra due gruppi di persone: quelle che vivono il tempo della ricreazione, e coloro che ospitano facendo sì che quest'ultima sia piacevole. Ne scaturisce un arricchimento reciproco, che rende la vocazione turistica un'esperienza assai più profonda di un mero lucrativo mestiere.

La predisposizione al turismo non può prescindere dalla rigorosa pulizia in senso ampio. Mi riferisco alla nettezza urbana ben organizzata, ai cassonetti, alle cose fatte bene, messe in ordine. Tralasciare o meno questi aspetti fa la differenza eccome! No: non basta il bel mare! Tutto l'insieme dev'essere bello. Bello e... pulito. Perché un autentico senso del turismo include l'idea del bello “armonico con l'ambiente” : “ Chi a palas de is ermosas plaias, de s'oru 'e mari, ddoi fuiaus donnia calidadi 'e aliga e fareus agatai donnia bruttesa manna, e ddoi funt ainas ghettadas a pari, a sa managa, is turistas sin-ddi acatant e no at a essi ua recrama bona pro nosus...”.

Ed ecco il turno dei segnali stradali. Insufficienti, come ben sappiamo. E come fa il malcapitato turista...? Chi traccia la segnaletica dovrebbe mettersi costantemente nei panni del visitatore che per la prima volta si cimenta nella rete stradale isolana. Spesso - causa cartelli mancanti o poco orientanti - si è costretti giocare alla roulet russa per azzeccare la meta prescelta! D'accordo: ci sono le mappe e tecnologie varie. Ma non ci esimono dal nostro civico dovere. Perché quando sei lì, davanti al fatidico e ingarbugliato incrocio, nella deserta campagna, specie se immerso nella tenebrosa notte sarda: una buona segnaletica è un sollievo da non poco!

Insomma: siamo noi che, in certi aspetti dobbiamo adattarci alle esigenze dei visitanti. Penso, per esempio, alla configurazione degli orari (perlomeno quelli estivi) di musei, chiese,... Ho notato (e mi è stato fatto notare) che soprattutto i turisti di provenienza anglosassone o nordica in generale, nelle visite alle nostre città, non rispettano le pause canicolari. Chiudere bottega in questo lasso di tempo non equivale certo a mettere al loro agio queste persone.

Eppoi le chiese. I turisti amano visitare le nostre chiese! Ma - ahimè! - molti sono costretti a sostare sconsolati all'uscio per via dei... cartelli. Non mi pare risponda al buon senso proibire un abbigliamento più che consono nelle torride estati sarde. Pantaloni fino al ginocchio e magliette prive di maniche (non aderenti e senza scollature o riduzioni varie) - tipica uniforme del turista che cammina, sia nell'uomo che nella donna - mi sembrano abiti più che dignitosi. In altri Paesi caldi come la nostra Isola, non si fanno di questi problemi.

Ed ora... circa la grande-grave questione: la massiva edilizia nelle coste è sinonimo di maggior profitto economico? No. In teoria l'assioma pare assimilato; ma nella prassi...! Tutt'ora si assiste all'innalzamento di cubiche strutture in luoghi ancora vergini, quasi dia fastidio che rimangano degli ambiti non imbrattati da mattoni e cemento. Insomma: ingordi fino all'osso! È chiaro che l'edilizia debba essere contemplata dall'industria turistica, ma plasmando il tutto in sintonia con l'ambiente; le coste sarde non sono la riviera Adriatica, Punta del Este o le spiagge carioca.

Nemmeno il “turismo di lusso” è di ecologica ed economica convenienza. In gran parte parliamo di gestioni dalla titolarità oltremare, le quali, in proporzione agli ingenti sacrifici ambientali da esse richiesti, lasciano esigui benefici in loco (in termini complessivi). Nemmeno l'agricoltura, la manifattura e l'allevamento nostrani si beneficiano come dovuto, visto che negli empori di questi agglomerati troviamo facilmente - e non da adesso - notevoli quantità di prodotti esterni.

Insomma: il turismo costiero (guarda caso, quello che maggiormente gonfia il nostro vanto) parla ancora di un protagonismo gestionale più o meno periferico da parte nostra. I capitali esterni facilmente hanno la meglio sulla nostra remissività territoriale. E se è pur vero che la Regione Autonoma (!) in suddette manovre ha sostenuto (e sostiene) gravi azioni complici, tutti dobbiamo sentirci in certo modo responsabili ed interpellati verso un cambio di rotta. Perché sa di presa in giro sapere che gli effetti di costose inversioni pubblicitarie (cf. proemio), defluiscano, in buona parte, entro salvadanai altrui! Perché ha del patetico dover sentire ancora oggi: “ Ma è vero che alcuni facoltosi Arabi stanno acquistando quel pezzo di costa per farci su un complesso turistico? Ah, meno male! Così almeno ci sarà qualche posticino di lavoro...!”. No! Si possono comprendere i poveri agricoltori che anni fa vendettero le loro terre costiere (ignari di quanto sarebbe poi successo)...; ma oggi...!

La mania che abbiamo di svendere casa per ottenere qualche briciola in cambio, facendoci “tzeràccus e galliòfus in domu nosta!” (anche se in un primo momento tutto brilli d' auree promesse) costerà cara alle generazioni future. Perché la verità è che non c'è somma di danaro, per quanto alta, che valga la libertà di poter disporre in casa propria... che valga l'umana e adulta (adulta!) soddisfazione che da essa (dalla libertà sovrana) scaturisce.

E il turismo di massa favorisce...? Anche in questo caso credo di no. Non si tratta d'imbastire la sagra dei “no”, ma di ragionare con profondo realismo sulle conseguenze a “largo raggio” (le più importanti!) di un certo andazzo, e capire come dietro alcuni “no”, possano librarsi tanti “sì”. È un dovere che abbiamo verso noi stessi e le generazioni in avvenire.
Il turismo di massa non è sinonimo di maggior guadagno complessivo; è anch'esso altamente inquinante e non proporzionalmente remunerante. Il rischio è di rimanere sfiancati su vari fronti.
Certo: il numero è importante per il fatturato, e va preso in considerazione; ma con misura (non so se esistano studi sul rapporto: quantità/tolleranza ecologica/proventi economici).
In quest'ottica di contenzione sarebbero da contemplare scelte rivolte ad un turismo più parsimonioso, scevre da scriteriati auspici di presenze massive funzionali ad un avido profitto dalle gambe corte. Un turismo quindi moderato nella capacità di offrirci ricchezza, ma certamente più solido in termini di continuità nel tempo. In fin dei conti è questo quel che più importa.

Un aspetto tutto bello è la valorizzazione, da parte di sempre più paesi, del proprio patrimonio ambientale, storico, culturale(incluse sagre, feste, in alcuni casi riesumate o riportate all'originale identità, attraverso rigorose ricerche storiche), artistico, architettonico, urbanistico, archeologico, gastronomico, agro-pastorale, artigianale... Si enumerano tanti imitabili esempi in questo senso. È consolante vedere paesini ben curati e con fiammanti indicazioni (quando si vuole...!): gialle, marroni... ben direzionate, non bucherellate e sequenzialmente distribuite. Tutto ciò favorisce quell'aspetto che in fin dei conti è l'anima di un turismo umanizzante, intelligente , creativo e auto-pubblicizzante: l'interazione tra ricreazione, natura e cultura. Entrambi gli aspetti sono legati alla crescita della persona. Perché anche la ricreazione, in fin dei conti, è tempo di crescita; un peculiare modo di far crescere la propria vita.

C'è di più. L'impegno nel condividere la nostra cultura col turista-ospite, può oltremodo contribuire al “riapproprio identitario”. Perché non si tratta di svendere uno sbiadito folklore da spettacolo (penso ai balli indigeni nelle piazzette di Porto Cervo o robe simili), ma una gioiosa condivisione col visitatore, di ciò che fece e fa parte del nostro vissuto. In questo senso il turismo non sarà un saccheggio mal sopportato per irrisori contentini economici; non sarà nemmeno un fattore di “annacquamento dell'identità”(tipico di certi luoghi dal turismo massivo e caotico, ove tutto è immolato sull'altare del solo profitto), ma: stimolo per la salvaguardia dell'identità, la quale in larga misura dovrà essere il “tocco peculiare” della nostra personalità turistica e sempre in larga misura: la “buona ragione” di quelle donne e uomini che scelgono di ricrearsi in casa nostra.

In tale contesto turistico-culturale, le stesse bellezze naturali acquistano più forma, volgendosi cornice pittorica di un quadro ambientalistico e antropologico. Saranno, se così si può dire, il pretesto favorente un turismo ad ampio respiro, che sa andare oltre il... bel mare. È ovvio che sarà poi il turista a fare la scelta, ma all'interno di una realtà ricreativa che che sappia connetterlo (in qualsiasi punto egli arrivi) al tutto geografico e culturale. Le coste quindi come punto di approdo e di partenza, costellate da esaustive informazioni verso l'ogni dove dell'Isola. Così facevano le nostre Madri e Padri dei Nuraghi, già allora capaci di connettere le coste con l'interno, per favorire il commercio con i popoli interagenti. Quanti esempi moderni dai nostri... Antichi!

Sappiamo che la scoperta delle zone interne è già, in parte, una realtà: passeggiate, escursioni organizzate, sport legati alla montagna,... parchi naturali, il fiorire degli agriturismi. A parziale (e spero progressiva) smentita dell'incipit di questa stessa riflessione, mi è piacevole scorgere, in qualche rivista, pubblicità su tradizionali eventi religiosi (di grande interesse culturale anche per un non cattolico), inseribili in quel turismo spirituale che ha preso forma in questi ultimi trent'anni.
Insomma: tutte iniziative che parlano di una creativa in atto. E non è poca cosa prenderne coscienza, visto che sarà la creatività consorziata la chiave per... “l'invenzione” di posti di lavoro, in un futuro molto prossimo. Sì: un turismo “migliorato e ben reinventato”, offrirebbe molti dignitosi posti di lavoro in più nella nostra Isola.

A prescindere da tali progressi, la nostra mentalità turistica necessita un notevole salto di qualità. I circa quarant'anni di rodaggio pare non ci siano bastati. Sarebbe a mio avviso proficuo che classe politica e cittadini ci dessimo spazi di riflessione per sondarne i perché.
Alcuni passi sono stati dati - come già sopra - e bisogna prenderne positivamente atto. Ma, insisto, ha da maturare una visione d'insieme, la visione del “maestro d'orchestra”, dell'interconnessione, affinché si possa parlare di industria turistica assemblata... affinché l'inversione di energie umane, ecologiche, economiche... confluisca in un equivalente e ben distribuito profitto.

Sorge a questo punto la necessità della messa in atto di una vera e propria “educazione al turismo”. Regione, Provincie e Comuni dovrebbero investirci ampie energie sostenute da sagge strategie. Non so, per esempio, quante scuole alberghiere ci siano nell'Isola e la percentuale di studenti motivati a frequentarle. I nostri giovani dovrebbero essere costantemente stimolati circa tale indirizzo ed aiutati su eventuali iniziative, onde favorire il formarsi di una solida classe imprenditrice autoctona nel settore. Altro che parassitari impieghi nel pubblico! Altro che Industria Chimica e porcherie varie! Sia chiaro: non ce l'ho coll'industria, ma con i velenosi e maleodoranti mostri chimici che tanti denari (nostri) e risorse naturali (come: acqua,...) hanno succhiato e succhiano; inconciliabili con l'altissima vocazione turistica delle nostre oasi.

Inutile nascondersi dietro un dito: industria pesante e servitù militari, oltre a mortificare la nostra sovranità territoriale, creano – lo sappiamo – sacche d'inquinamento dagli effetti devastanti; diciamo pure... mortali, per non nasconderci dietro anestetizzanti eufemismi. Andiamo quindi ben oltre la questione del solo (e chiaramente penalizzato) turismo. Prima o poi dovremo dichiarare nettamente la nostra sovrana decisione circa un problema di così enorme portata, al quale solo noi (sardi) possiamo metter fine. Aspettare che tutta l'acqua bollente si versi dalla pentola, per gridare allo scandalo... poscia, non farebbe onore alla tempistica di un Popolo che vuol dirsi: previdente custode delle proprie colline, pianure, montagne; delle proprie acque e della propria aria... dei propri bambini: della propria... dignità.

Prima di concludere, il pensiero volge di nuovo alle coste, alle spiagge; - e n-ddi torrat! (eh sì! La lingua batte...!) - . Forse, quando impareremo ad esercitare efficace sovranità sulle nostre coste, spiagge, mari, così da favorire un ambiente ricreativo sempre più sano, cordiale e bello “segundu is costuminis nostas”; quando progressivamente andremo migliorando le interazioni ambientali-culturali fra le coste e l'Isola tutta, allora potremo felicemente constatare che le (pur utili) pubblicità costiere su aeroporti e riviste, diverranno un accessorio del tutto secondario.

Ma ci sarà da lavorare con tenacia. Nessuno sarà disposto a concederci e a cederci niente. Nessuno sarà disposto a sottoscrivere nuove regole del gioco! Dovremo... dobbiamo, già ora: fare, migliorare, risanare, reinventare... tutto da noi.
Ignazio Cuncu Piano

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